Lasciare un figlio, talvolta, può salvargli la vita. Storie di abbandono ma anche di sofferenza e umanità che attraversano il tempo anche nella città del Palio. I “gittatelli”, come si chiamavano a Siena, sarebbero vissuti come “figli dell’ospedale” fino ai diciotto anni se maschi, mentre alle ragazze veniva data una dote per il matrimonio…
E’ notizia fresca di cronaca che una madre ha lasciato un neonato (non per strada, non al freddo, non esposto a pericoli) ma al sicuro, nella culla termica dell’ospedale Mangiagalli di Milano, approntata proprio per casi del genere. E non sempre si tratta, oggi come in passato, di disaffezione o crudeltà o insensibilità. Una donna può trovarsi sola, in difficoltà di vita, economiche o chissà quali traumi sta vivendo. Eppure pensa al figlio, a portare a termine la gravidanza, a lasciarlo dove verrà accudito e le verrà data una famiglia. Che potrà dare lui un futuro. Facile giudicare. Difficile capire. Ed è stato così da sempre.
Se guardiamo alla nostra storia fin dal Duecento l’ospedale senese di Santa Maria della Scala accoglieva i bambini che le famiglie di origine (per i motivi, già allora più disparati: la povertà innanzitutto) non avrebbero potuto mantenere. Si chiamava la “pila”, prima, la “ruota”, dopo, il meccanismo posto fuori dall’ente caritativo dove, in genere di notte protetti dal buio, si lasciava l’infante ad un destino, se ci pensiamo, migliore di altri (e questo avveniva e, avviene ancora, in molte città). Nel momento in cui un neonato veniva affidato alla misericordia dell’ospedale di Santa Maria della Scala un frate lo accoglieva e annotava subito tutti i particolari che potevano essere utili per consentire al nuovo venuto il mantenimento della sua identità e alla famiglia di poter riconoscere, magari un giorno, il proprio congiunto. In appositi registi si segnano, così, la data di ingresso in istituto, l’ora del ritrovamento, le caratteristiche fisiche, l’età indicativa. Si specificano, inoltre, le condizioni fisiche e si fa un inventario dettagliato delle vesti e di ogni altro oggetto che il bambino ha con sé.
Gli oggetti lasciati addosso agli esposti, talvolta numerosi, sono dei generi più disparati: pezze, fasce, medaglie, monete, oppure bigliettini (i cosiddetti “polizzini”) dove si può trovare indicato se il bambino è stato già battezzato, il luogo di provenienza, oppure si raccomanda a chi lo troverà di prendersi cura di lui, o, ancora, si scrive se ha già un nome.
E poi veniva dato a balia per essere allattato e cresciuto fino ai tre anni, gli veniva assicurata un’istruzione (ai maschi come alle femmine), una formazione professionale e un lavoro. I gittatelli, come si chiamavano a Siena, sarebbero vissuti come “figli dell’ospedale” fino ai diciotto anni se maschi, mentre alle ragazze veniva data una dote per il matrimonio.
Abbandonare non è mai facile, per i genitori dei gittatelli del Santa Maria, per la donna che ha lasciato Enea nel 2023 alle cure di un ospedale milanese. Sofferenze di ieri ed oggi che portano in sé dolori che non possiamo immaginare. Né giudicare. Ma ecco che un welfare che continua a funzionare e ad accogliere offre a quel bambino una speranza di una buona vita. E questo, ammettiamolo, si deve anche alla sua mamma.
Ah, io sono pronipote di una gittatella. Nell’alta Toscana, nell’ospedale di Altopascio, a fine Ottocento, viene abbandonata, neonata, Virginia Gingetti. Sposò, poi, Felice Novelli, conosciuto perché era andato in quella zona in cerca di lavoro. Da loro nacquero Silvano, Guido, Gino, Maria, Agostina e Gualtiero. Gualtiero è il padre di mamma Marusca. Mio nonno. Le stesse esistenze di molti di noi sono legate a storie di abbandono. Ed è solo perchè loro sono stati “salvati” e “allevati” da ospedali, e poi da altre famiglie, in ogni declinazione che queste esperienze comportano, noi siamo nati. E nelle lor storie di esposti stanno le radici di quello che oggi siamo noi e del sangue che scorre in molte delle nostre vene.
E sarà così anche per Enea. Buona vita piccolo.
Maura Martellucci