Eleonora Galia e Alfio Zedda sono i genitori di Giulia e, quando lei è diventata un angelo del cielo, hanno dato vita all’associazione “Il sogno di Giulia Zedda odv” che, per avverare il sogno della loro bambina, raccoglie giochi, abiti, oggetti da distribuire ai piccoli di famiglie in difficoltà, ma anche fondi per realizzare progetti che aiutino i bimbi, soprattutto quelli ammalati, ma non solo.

Giulia
Giulia

Ho la fortuna di parlare con Eleonora, una donna forte, certamente sorretta dalla fede, ma capace di trasformare il dolore per la perdita della sua bambina in progetti e benessere per tanti altri piccoli sfortunati.

Chiedo a Eleonora di raccontarmi Giulia come bambina e non come portatrice di una terribile malattia che l’ha condotta alla morte.

Giulia era una bambina, bella, dolce e solare. Era nata a Cagliari, il 7 gennaio 2008; allora sia io che Alfio lavoravamo ma, memore di aver perso alcuni eventi della crescita del mio primogenito, Giovanni, ho deciso di lasciare il lavoro per dedicarmi completamente ai miei bambini. Giovanni aveva quattro anni e, nell’attesa della nascita della sua sorellina, aveva un incarico: sceglierle il nome. All’inizio furono nomi un po’ improbabili, ma, dopo aver visto il film “L’apetta Giulia e la signora Vita”, optò per il nome della protagonista. Eravamo La famiglia una famiglia felice, unita; Giulia e Giovanni crescevano come tutte le coppie di fratelli, tra un gioco e un litigio, ma si volevano bene. D’inverno stavamo a Cagliari, ma d’estate ci si trasferiva a Bosa, il mio paese, e Tiana, quello nell’entroterra del babbo. Erano felici e liberi: quando stavano in campagna, vivevano la natura e quando tornavano in città raccontavano le loro avventure e lasciavano a bocca aperta i loro amici. Giulia era felice, amava frequentare la scuola materna, dove ha conosciuto Emma, la sua amica del cuore. La notte sognava la Madonnina e me lo raccontava. A sei anni entrò in prima elementare: tutto era bello per lei e per noi. Volle essere iscritta al Catechismo anche se era così piccina: voleva fare presto la Prima Comunione per ricevere Gesù al più presto. Non fu possibile e dovette attendere i suoi nove anni, quando ormai la sua vita volgeva però al termine.”

Che cosa successe?

Già durante le vacanze di Natale del 2013 Giulia iniziò ad avere qualche problema, ma non ci facemmo caso. Il 7 gennaio era il suo compleanno e organizzammo una grande festa, con tutti i compagni, della materna e delle elementari, e i loro genitori. Dopo dieci giorni Giulia era invitata ad un’altra festa, ma in quel frangente accusò un malore. Un amico otorino ci chiese di sottoporre Giulia ad una risonanza magnetica. Il responso fu tremendo: Giulia era ammalata di un tumore cerebrale maligno e doveva essere operata immediatamente.”

Da quel giorno di febbraio del 2014 la vostra vita è cambiata.

Abbiamo dovuto spiegare a Giulia la malattia, ma era difficile: le dissi che dovevano levarle una pallina che era cresciuta nella sua testolina. L’intervento durò dodici ore, il  ricovero un mese, ma al termine di quel periodo Giulia non camminava, non parlava ed era diventata strabica. Purtroppo  in ospedale non si erano resi conto che c’era una metastasi midollare. Da quel momento, per quattro anni, la mia piccola dovette affrontare radioterapia e chemioterapia, oltre ad altri interventi. Era un purgatorio, ma noi speravamo che Giulia ne sarebbe uscita viva.”

E Giovanni, il suo fratellone, come reagì?

Giulia con suo fratello
Giulia con suo fratello

Reagì come fanno i bambini fratelli o sorelle di piccoli malati. Da un momento all’altro vedono scomparire da casa, per lunghi periodi, il compagno di giochi, ma anche la mamma. Giovanni si chiuse in se stesso e affidò alla musica il compito di incanalare il suo dolore. Iniziò a suonare, ma anche a scrivere testi i cui contenuti erano incredibilmente profondi per essere frutto della mente di un bambino di 10 anni.”

Nonostante chemio, radio e interventi, il “mostro” tornò a presentarsi più volte nel mondo di Giulia. E nonostante ciò lei tentava di vivere una vita da bambina.

Purtroppo Giulia era tanto fragile. Anche quando non era in ospedale, non poteva frequentare la scuola. Iniziammo un percorso di scuola ospedaliera, quando era ricoverata, e una domiciliare. Ciò la teneva lontana dai suoi coetanei. Anche quando uscivamo, per andare al parco, per esempio, dovevamo farlo nei momenti in cui non c’erano altri bimbi: il rischio per la sua salute era grande. Ciò la rattristava, ma si consolava con l’arte: ha imparato a plasmare il fimo con cui ha iniziato a modellare, prima, alberi e stelle di Natale e, dopo, presepi con i personaggi che poi donava.”

Paradossalmente, in ospedale riusciva a condividere il tempo con altri bambini.

A maggio del 2016, dopo l’ennesima recidiva, un nuovo intervento e la sentenza emessa dai medici di Cagliari per cui non c’era più niente da fare, decidemmo di trasferire Giulia per le nuove terapie al Bambin Gesù di Roma. Ricominciò con radioterapia e chemioterapia. E riprese anche la scuola ospedaliera. Al Bambin Gesù incontrò bambini malati come lei, ma spesso soli. E lei allora cercava di rendere la loro presenza in ospedale più sopportabile, li aiutava e mi chiedeva di aiutarli e di abbracciarli, visto che non avevano nessuno. Al Bambin Gesù divenne grande amica di una sua coetanea africana, Davida, che era venuta dal suo Paese senza la mamma, che era rimasta a casa con i fratellini; Davida era affidata a Suor Susan, del Benedetto Cottolengo, per curare una leucemia. Giulia e Davida, quando si incontravano, erano felici, si facevano festa, si abbracciavano, giocavano e andavano insieme alla scuola ospedaliera. Purtroppo, nonostante in Africa Davida avesse dieci, tra fratelli e sorelle, nessuno di loro era donatore compatibile per un trapianto che tentarono con il midollo della mamma, compatibile solo al 50%; l’intervento non riuscì e la piccola è volata in cielo il 7 gennaio 2018, proprio il giorno del compleanno di Giulia.”

Giulia e Davida
Giulia e Davida

Giulia che amava la vita, la musica dei Modà e l’arte, che giocava e sorrideva ai bambini come lei, ad un certo punto comprende che ormai ha poco da vivere.

Giulia, nei suoi dieci anni, aveva ricevuto tanti giocattoli e vestiti. Un giorno, quando eravamo a Cagliari, tirò fuori dall’armadio ognuno di quegli oggetti a cui era tanto affezionata e li pose in ordine. Poi chiamò il babbo e chiese che ognuno di quegli oggetti venisse donato a qualche bambino fragile o con una famiglia in difficoltà. Poco dopo anche la mia piccola è volata in cielo. Tre mesi dopo, io e mio marito abbiamo dato vita alla Associazione “Il sogno di Giulia”.”

Iniziaste in uno spazio minuscolo, di sette metri quadrati, a donare gli oggetti appartenuti a Giulia. Ma poi tanti hanno iniziato ad inviarvi oggetti, abiti e giocattoli per l’infanzia, al punto che avete dovuto cercare un locale più grande. E ora il “Sogno di Giulia Zedda” è qualcosa di più.

Sì, è stato impressionante vedere con quale generosità le persone hanno condiviso il nostro obiettivo. Prima c’erano solo le cose di Giulia per i bambini in difficoltà. Ora arrivano oggetti da tutta la Sardegna, ma anche dal resto del Paese. Soprattutto, arrivano aiuti economici per aiutare i bambini malati. In questi giorni consegneremo l’ambulanza di Giulia, un’ambulanza tutta colorata che trasporti solo i bambini malati. Purtroppo, è capitato spesso che Giulia, finita la terapia, abbia dovuto attendere ora l’ambulanza, per essere riportata a casa, perché ce n’era solo una adatta. Abbiamo ricevuto oltre gli 80.000 euro che è la cifra che ci è costato il mezzo; con ciò che è avanzato abbiamo acquistato dei dispositivi ospedalieri da fornire agli ospedali pediatrici della Sardegna.”

Spesso i bambini malati devono compiere i cosiddetti “viaggi della speranza”.

Già, sono viaggi importanti, ma che non tutte le famiglie possono permettersi. Noi ci recammo a Roma per due anni, abbiamo dovuto prendere circa sessanta volte l’aereo e ciò sempre senza alcun aiuto economico. Proprio sapendo quanto sono costosi questi viaggi della speranza e della cura, abbiamo ideato il progetto “Un gancio in mezzo al cielo”, per sostenere economicamente le famiglie che non possono affrontare le spese onerose dei viaggi dei propri bambini.”

Giulia non produceva cellule staminali e così non poté essere sottoposta ad autotrapianto. Ora voi sostenete un progetto finalizzato alla donazione e raccolta dei cordoni ombelicali.

Sì, tra i vari progetti che sosteniamo c’è quello di Osidea, “CorDONIAMO”: il sangue del cordone purtroppo non viene quasi mai raccolto, ma smaltito come rifiuto biologico. Ciò determina la perdita di sangue che è ricco di cellule staminali, preziosissime per il potenziale terapeutico, e per l’avanzare della ricerca scientifica. Noi non abbiamo potuto salvare Giulia, ma abbiamo sostenuto fino in fondo la ricerca, al punto di “donare” la nostra piccola alla scienza; sapevamo che alcune terapie, come i tre cicli di terapia autoimmune monoclonale, non avrebbero dato i risultati sperati, ma abbiamo comunque accettato che Giulia fosse sottoposta a quelle cure sperimentali: era comunque un modo per contribuire alla ricerca.”

Le iniziative nate dal “sogno di Giulia” sono tantissime, come quelle che riguardano i volontari, professionisti di diversi settori, che restano a disposizione delle famiglie in difficoltà con bambini fragili: non sono solo medici, ma anche pasticceri, fotografi e avvocati, psicologi e terapisti. Alfio ed Eleonora hanno creato un sito, www.ilsognodigiuliazeddaodv.it, e una pagina facebook dove si possono leggere tutti i progetti e le opportunità che mamma Eleonora e babbo Alfio stanno realizzando perché il sogno di Giulia continui a vivere.

www.ilsognodigiuliazeddaodv.it

https://www.facebook.com/ilsognodigiuliazedda

Marina Berti

 

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