Ci sono luoghi che rappresentano la memoria di una comunità. Il Santa Maria della Scala è, a Siena, uno di quei luoghi.

I senesi lo sanno che quel  complesso museale, che si affaccia sulla piazza del Duomo e guarda alla facciata di una delle chiese più belle che l’umanità sia stata capace di erigere, è stato, fino a non molti anni fa, un ospedale, anzi l’ospedale di Siena.

Forse non lo sanno i turisti e neppure chi è giunto a vivere a Siena, per lavoro o per la bellezza dei suoi luoghi: per molti il Santa Maria della Scala è, quindi, un’attrazione turistica, un contenitore d’arte e cultura, invece per i senesi quel luogo ha una storia che non è solo di medicina, ma anche di umanità.

E proprio l’umanità, oltreché la professionalità, è il filo conduttore che tiene unite le esperienze narrate nel libro, edito da Betti, “Fra storia e memoria”, curato da Donatella Coppi, Daniela Fabbri e Manola Pomi, con la prefazione dello psichiatra Andrea Friscelli. L’opera si compone di ventinove testimonianze di altrettanti operatori che hanno lavorato nell’Ospedale di Santa Maria della Scala, fino al momento della sua chiusura, e l’obiettivo è chiaro fin dall’inizio: come scrive Friscelli, nella prefazione, sventare la perdita della memoria, di quella memoria che è vita.

il libro
il libro

Oltre alla memoria, il filo conduttore che tiene insieme tutte le testimonianze è l’appello alla dimensione umana, all’assistenza, al rispetto profondo per il malato sofferente, alla solidarietà: l’accento sui rapporti umani, associati alle conoscenze tecniche, è una costante di tutte le testimonianze, insieme all’orgoglio per avere operato in un contesto dove era diffuso il senso di appartenenza che coinvolgeva sia gli operatori sanitari, ma anche tutti le altre figure professionali che erano indispensabili per il funzionamento dell’ospedale.

Tra questi, colpisce, per esempio, la testimonianza di Bruno Estivi, disinfettore: nel suo racconto, chiarisce ogni aspetto dell’attività da lui svolta, ma anche il rispetto per la stessa che, pur non essendo prettamente sanitaria, era indispensabile affinché i sanitari potessero svolgere in sicurezza i propri compiti.

Colpisce come tutte le testimonianze inducano i lettori a pensare al Santa Maria della Scala come ad un ospedale costruito intorno alle esigenze dei pazienti e dove l’esperienza degli operatori sia stata tenuta in debita considerazione, a differenze di quanto avviene spesso oggi se Mery Savelli, che si è occupata sempre dei prematuri, sostiene  che “Bisognerebbe che chi costruisce (gli ospedali) parlasse con chi ci lavora, mentre questo non succede” quando racconta dello spostamento del suo reparto al Santa Maria alle Scotte,  dove gli operatori si dovettero confrontare con una sistemazione dei locali, inizialmente, non adeguata.

Il Santa Maria della Scala viene presentato, in questa raccolta di testimonianze, come una comunità di ammalati, infermieri, cuochi, operai, sarte, suore e altri religiosi che hanno condiviso uno spazio che ha attraversato i secoli e fatto la storia di una città, Siena, in cui, come scrive Friscelli “il filone della ricerca e della realizzazione di un welfare” parte da Santa Caterina e dai luoghi in cui operava per giungere fino al Santa Maria della Scala e all’ospedale psichiatrico San Niccolò.

Oltre ai racconti, l’opera, i proventi della cui vendita sono destinati a finanziare l’ACOS (Associazione Cattolica Operatori Sanitari), è completata da fotografie che mostrano la realtà dell’Ospedale senese, fino a quando i reparti sono stati trasferiti nell’ospedale nuovo, lasciando quello spazio in eredità alla città che l’ha trasformato in una realtà museale che richiama migliaia di turisti, ogni anno.

Marina Berti

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