Il termine femminicidio è entrato a far parte del vocabolario italiano nel 2001, un termine crudo come la realtà che rappresenta perché sta ad indicare gli omicidi della donna “in quanto donna”, ovvero gli omicidi diretti al genere femminile (donne e bambine).

Ne parliamo con la psicologa e psicoterapeuta di uno dei quattro Centri Antiviolenza della provincia senese, per conoscere chi sono le vittime, quelle che trovano il coraggio di denunciare e che riescono a sopravvivere.

Le chiedo come è avvenuta la scelta di lavorare per un CAV (Centro Anti Violenza) “in realtà non ho scelto fin da subito questa strada. Durante l’esercizio della mia professione mi è capitato svariate volte di riscontrare storie traumatiche in soggetti, prevalentemente di sesso femminile, che chiedevano un supporto psicologico perché afflitti da sintomi di vario genere. Ho cominciato ad accostarmi ad uno studio più mirato ed ho potuto apprendere quanta correlazione esista tra violenza e disturbi psichici. L’opportunità di collaborare con i CAV è arrivata di conseguenza, dopo aver conseguito formazione specifica su queste tematiche”.

 

La presa in carico psicologica nei CAV avviene dopo una prima accoglienza offerta dalle operatrici volontarie che ascoltano attivamente ed accolgono senza giudizio le donne che trovano il coraggio di uscire allo scoperto “quando arrivano poi da me – ci racconta la dottoressa – sono abbastanza ben disposte e riescono ad affidarsi, anche se molto dipende dalla storia di violenza che hanno alle spalle. Alcune di loro hanno storie di maltrattamenti che si sono protratti per decenni. Ciò contribuisce a strutturare in loro un profondo senso di impotenza e una sfiducia talmente generalizzata da ostacolare la possibilità di fidarsi e di affidarsi perfino a noi che siamo operatrici e professioniste specializzate in questo: con donne così danneggiate dal protrarsi delle situazioni di violenza, il lavoro da fare è più lungo e complesso”

Molti di noi si sono chiesti che tipi di violenza incontrano queste professioniste “Nei CAV abbiamo a che fare con ogni tipo di maltrattamenti. La base di partenza è sempre la violenza psicologica che è anche quella più sfuggente e difficile da riconoscere; poi ci sono le violenze fisiche e sessuali, di cui le donne spesso si vergognano ed hanno grossa difficoltà a raccontare, perché molte di queste avvengono tra le mura domestiche; poi atti di stalking e stupri, questi ultimi anche tra soggetti molto giovani, perfino adolescenti sotto i diciotto anni”.

Cosa ti lasciano dentro questi incontri? “La professione che svolgo è delicata e complessa. Lavorare con le donne vittime di violenza espone a tanti vissuti diversi: dolore, rabbia e senso di impotenza per tutte quelle situazioni che non finiscono bene. Mi riferisco soprattutto a quei casi in cui (e sono tanti!) il fenomeno della violenza non cessa con la separazione dei partners, ma si protrae, spesso in modo subdolo, attraverso la custodia e la gestione dei figli minori. Per queste ragioni è veramente importante una formazione specifica che consenta agli operatori, che a vario titolo e professione hanno a che fare con potenziali vittime di violenza e con i loro figli, di non scambiare la violenza domestica per situazione ad alta conflittualità ed evitare così dannose vittimizzazioni secondarie. Lavorare con le donne vittime di violenza espone talvolta anche a tanta meraviglia e a gioia infinita per la presenza di preziose risorse interne che contribuiscono potenzialmente a farle “rinascere” a nuova vita.”

Un argomento tanto delicato, quanto attuale, come riportano le notizie delle ultime ore di tutti gli organi di stampa ma del quale non bisogna abbassare l’attenzione e smettere di parlarne. Forse dovremmo fermarci e riflettere su cosa sia l’affettività, cominciare realmente a parlare di educazione sentimentale fin dai primi anni di vita affinché si possano vivere buone relazioni, accettare sconfitte, affrontare un confronto senza ricorrere a brutali violenze.

Ringrazio la dottoressa augurandole buon lavoro nel supportare quotidianamente le donne nel percorso di uscita da situazioni di violenza e nel recuperare speranza e sorrisi.

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