Questa è una storia bella, una di quelle che non puoi non raccontare. Scalda il cuore scoprire l’esistenza di persone che, in silenzio, realizzano il vero senso del Natale, tutti i giorni dell’anno.

Il “nonno speciale”, così lo chiamo, non vuole presentazioni, cede sorridendo alla mia insistenza e mi permette di scrivere di lui ma ci tiene, e io lo rispetto, a restare nell’ombra. Non si sente eccezionale e arrossisce quando gli dico che per me è speciale. Beviamo insieme, in un bar cittadino, un caffè.

Ha perso la moglie non molto tempo fa “per colpa del maledetto Covid” mi spiega, e da quel momento condivide la sua bella casa con i ricordi di una vita passata insieme, foto sbiadite di viaggi lontani, libri letti e riletti unici compagni di serate solitarie. “Ma non sono triste” mi rassicura, “la vita mi ha dato molto e per tanti anni. Adesso è arrivato il momento di dare agli altri quello che ho ricevuto io” prosegue, abbassando lo sguardo.

Io conosco la sua storia perché la vita ci ha messo, ad un certo punto, sullo stesso binario.

Per caso, come i migliori incontri, ho avuto modo di apprezzare questo nonno gentile, amante dei libri, della rimpianta moglie, dei suoi adorati gatti e dei gesti d’amore, quelli gratuiti, che non chiedono niente in cambio.

Mentre mi racconta scopro della scomparsa di una figlia, l’unica, persa senza preavviso in un’età talmente acerba da togliere il fiato.

I suoi occhi si velano di dolore e io non chiedo altro, deduco che la vita con lui debba aver applicato la sottrazione, troppo e troppo presto. Adesso sono io ad abbassare lo sguardo, fa troppo male incrociare il suo dolore.

Di lui conosco abbastanza. I gesti d’amore, la condivisione, l’accoglienza, le giornate vissute per gli altri. Decido  di aspettare che sia lui a raccontarmelo e, come prevedevo, descrive solo una piccola parte di tutte le buone azioni che caratterizzano la sua vita.

Mi parla del volontariato alla colonia felina, di “quel barbone accolto in casa per due settimane perché fuori era troppo freddo”, dei libri donati ai reparti ospedalieri, dell’auto regalata ai vicini in difficoltà “tanto io a prendere il pane ci posso andare a piedi, loro a prendere i bambini a scuola no” dice davanti al mio stupore. Non mi racconta della spesa settimanale che fa per un’anziana rimasta vedova e senza pensione, della donazione che ha fatto ad un Ente del territorio, dei pomeriggi passati a regalare la sua compagnia a chi è solo, come e più di lui.

Non mi racconta di quella bambina che ha accolto per un periodo in casa e che adesso lo chiama “nonno”, nemmeno dei gioielli della cara moglie donati alla parrocchia nè dei medicinali che manda in Africa da diverso tempo.

Il tempo passa frettoloso con lui e mentre parla con calma ed equilibrio io mi sento “piccola”, legata allo sciocco valore delle “cose”, alle corse giornaliere verso chissà quale meta, al tempo speso male, mai sufficiente per me e prezioso per gli altri.

Mi scopro vuota rispetto alla sua pienezza, stanca rispetto alla sua energia. E allora dico grazie. Grazie, per quest’ora di pura vita. Per quegli occhi buoni che fanno compagnia, per le braccia aperte, le mani ruvide e il cuore grande.  Auguro a tutti di incrociare quegli occhi profondi e di sedersi accanto, come me, a chi della propria vita ne ha fatto un dono e riscoprire grazie a lui, il senso del Natale, il senso della vita.

Valentina Cappelli

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