Otto anni fa Andrea, il mio compagno, mi fa scoprire il mondo del Basket al quale mi approccio con curiosità ma con un po’ di ignorante diffidenza.

Inizialmente ammetto di aver un po’ storto il naso per le domeniche di sole trascorse dentro ad un palazzetto, per l’orario di cena che si avvicinava a quello del sonno visti gli allenamenti a cui, “assolutamente lui non poteva mancare”, per quei quaranta minuti di partita continuamente interrotta che sembrava durare un’eternità.

Io abituata ai campi sportivi, al sole cocente d’estate nei campi assolati, alle scarpe infangate nelle giornate di pioggia torrenziale (e chi lo conosceva il confort di un palazzetto chiuso!!?).

In effetti ce ne ho messo di tempo a comprendere il cosiddetto “terzo tempo”, i “passi”, i “blocchi”, il “Bonus” e devo dire che ho avuto un maestro perfetto, con una pazienza infinita che ha improvvisato pure schemi su fogli bianchi per farmi capire meglio certi meccanismi, oltre alle valanghe di partite viste insieme sul divano.

Ogni occasione era quella giusta per entrare a piccoli passi in quello che rappresentava il “suo mondo”, il Basket. Con il tempo poi la tolleranza verso i suoi impegni sportivi ha acquisito il sapore dell’appuntamento atteso, la partita del fine settimana, la trasferta alla quale “mica si può mancare proprio noi”, le amicizie nate e coltivate sulle tribune, la stagione della famigerata campagna acquisti (se chiudo gli occhi lo vedo sulla Marmolada a decidere con l’inseparabile direttore sportivo l’acquisto di un giocatore, e ..mi vedo ad aspettarlo per un tempo indefinito davanti ad un piatto di canederli fumanti in un ristorante gourmet vista Dolomiti perché al cellulare con il Presidente e.. “ a dopo cena non si poteva rimandare”.

Arrabbiata di sicuro, ma dopo dieci minuti ha prevalso  la curiosità di sapere gli ultimi aggiornamenti e mi sono completamente scordata della mia prima esperienza culinaria in solitaria. Ebbene sì, mi conosco…Io mi “appassiono alle passioni” e la sua è stata molto contagiosa.

Andrea, che ricopre il ruolo di Direttore Generale dell’ASD Costone, mi ha fatto entrare in un mondo affascinante, fatto di valori umani ancor prima che sportivi, di condivisione di intenti, di esperienze entusiasmanti, momenti deludenti e picchi di grandi soddisfazioni.

Se guardo indietro negli ultimi  anni direi che un po’ di strada ne abbiamo fatta, nel nostro progetto di vita insieme soprattutto, ma siamo riusciti ad avere un ulteriore elemento legante le nostre due, spesso complesse, personalità: una passione in comune, il Costone.

Di recente la mia nomina nel Consiglio Direttivo. Andrea ha costruito tanto, a volte faticosamente, insieme alle persone che più stima e rispetta e con le quali ha ormai instaurato un legame fraterno. Insieme hanno seminato ed insieme stanno raccogliendo. Andrea mi ha insegnato l’umiltà nello sport, il famoso “profilo basso”, il procedere a “fari spenti”, il rispetto nei confronti dell’avversario, il saper aspettare perché ”la qualità non si improvvisa, si prepara ”.

Con lui, con i suoi collaboratori e con gli atleti, tutti quei concetti teorici sull’importanza della motivazione nel gruppo, della preparazione tecnica e mentale alla quale non si può e non si deve mai rinunciare, alla definizione degli obiettivi a medio e lungo termine, sono stati concretizzati sul parquet. Di tutto questo lo ringrazio, per Matteo e Tommaso, ma anche per me che ho sempre e solo giocato a tennis, e per sua figlia Chiara, è sicuramente scuola di vita.

Di questo abbiamo bisogno. Di credere. Di avere obbiettivi per cui costruire, accanto ai problemi quotidiani che facilmente tendono a demolire. Che si tratti di basket, di ippica o di pallavolo. E’ tempo di riappropriarsi della passione, delle attese trepidanti un risultato, degli abbracci sinceri. La nostra città è un esempio da seguire, al di là dei colori e della maglia che indossiamo.

La competizione serve a migliorarsi, a stimolare la crescita, ad alzare l’asticella della performance, delle aspettative e dell’autostima personale. Nel rispetto dell’altro, sempre e comunque. Questo è quello che amo dello sport. Questo è quello che respiro dentro il Palazzetto ad ogni partita, ad ogni allenamento.

Domenica scorsa ci siamo stretti tutti intorno ad un trofeo, la Coppa Toscana. Abbiamo vinto ma non è e non sarà una Coppa (se pur bellissima) a definire la qualità umana di un gruppo e di una società sportiva e di questo ne sono convinta.

Dietro a quell’alzata di Coppa  ci sono atleti che non si sono risparmiati fino all’ultimo, che hanno giocato con febbroni e caviglie gonfie, talloni doloranti e schiene indolenzite. Ci sono allenatori e preparatori che sono riusciti a lavorare sulla spinta motivazionale oltre che su quella tecnica, ci sono dirigenti che hanno fatto scelte giuste, sacrificando vite private e familiari in nome di quella causa, la più importante, che non si chiama “vittoria” ma amore per la “propria squadra”. Questo credo che sia trasversale a tutte le altre realtà sportive, non solo alla mia.

Auguro a tutti i lettori di sperimentare questo senso di appartenenza, nei gruppi sportivi, in contrada, in parrocchia, nei gruppi dei pari. Sentirsi appartenenti a qualcosa permette la creazione di radici, attiva reti informali e facilita la formazione di un’ identità sana ed equilibrata. Riempiamo quindi i Palazzetti, le tribune dei campi sportivi, delle piscine, dei campi da tennis e viviamo di passioni, sempre.

Valentina Cappelli

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