Lei è una ragazza sorridente, dagli occhi grandi spalancati sul mondo. Prima di aprirmi le porte del suo cuore e della memoria mi chiede solo due cose: di non usare il suo nome e di non fotografarla. La chiamerò Bianca e, ovviamente, non sarà ritratta in alcun modo.

Mi sento fortemente responsabile scrivendo la sua storia. Devo stare scrupolosamente attenta a non far trapelare alcun indizio che possa essere riconducibile a lei , ma allo stesso tempo ho l’esigenza di non tralasciare un solo grammo di quel peso, il suo, che da una vita regge sulle spalle.

Bianca ha meno di trent’anni, arrivata in Italia da circa dieci, nata in un Paese ove la scelta non è contemplata. Non si può “scegliere” chi amare, cosa studiare, cosa indossare e chi diventare. Ha potuto frequentare solo tre anni di scuola, “ma è stato sufficiente per imparare a scrivere e a leggere” mi dice con un mezzo sorriso pieno di orgoglio.

Mi vede scettica forse, perché prende un tovagliolo di carta e sopra ci scrive il suo nome, poi afferra il giornale che è sopra la sedia e mi dimostra che sa anche leggere. Mi sono sbagliata e mi dispiace. Mi parla della sua famiglia di origine. Dividevano una sola stanza in sette.

I suoi genitori, sua nonna, i suoi tre fratelli e lei. I maschi di casa passavano la giornata a fare lavori pesanti e le nottate a fare cose indicibili.

A tredici anni le presentano quello che sarebbe dovuto diventare suo marito. Non lo odiava, “aveva gli occhi buoni” mi dice “e le sue mani non erano ruvide e pesanti come quelle dei miei fratelli“.

Si sposano in un giorno di festa, Bianca aveva sedici anni, il vestito delle feste e la morte nel cuore. “Cos’è l’amore, me lo sai spiegare? mi chiede. No, non te lo so spiegare dolce Bianca e ti chiedo scusa. Capisco però che non ti sei mai sentita amata.

Posso solo dedicarti il silenzio e registrare ogni attimo del tuo racconto. Il marito dagli occhi buoni viene ucciso due settimane dopo le nozze, in una guerriglia civile, senza motivo. Sola, con l’abito del lutto Bianca ritorna a casa, ritorna all’inferno. “Decido di scappare il giorno del mio diciassettesimo compleanno” mi racconta.

Aveva conosciuto persone che promettevano un viaggio sicuro verso l’Italia, lei ed altre donne ed in cambio solo un “po’ di compagnia”. “Nel mio villaggio l’Italia era il sogno di tutti, si narrava che ci fosse lavoro, case belle dove abitare, scuole aperte a tutti, opportunità anche per i più fragili. Non avevo dubbi, dovevo solo trovare il modo per non farmi scoprire dalla mia famiglia. Il viaggio durò quarantacinque giorni e se ero convinta che casa mia fosse l’inferno, in quel viaggio mi resi conto che all’inferno ci ero appena arrivata” conclude. Il ricordo quasi la soffoca, abbassa lo sguardo poi cerca i miei occhi per dirmi attraverso essi quello che non può dire a parole. E mi arriva tutto, come uno schiaffo. Il suo dolore, le sue paure, i soprusi, i compromessi accettati per sopravvivere, la voglia di riscatto, l’incertezza del futuro, la mancanza di fiducia, il suo bisogno di amore nonostante tutto.

Arrivata in Italia Bianca scopre che la libertà ha un prezzo altissimo e che libera, forse, non sarà mai. È riuscita a sfuggire a una situazione familiare drammatica, ha attraversato mari e monti per lunghi tratti a piedi, è stata venduta, poi ricomprata, utilizzata, mercificata, straziata. Nella terra sperata cambiano i carnefici, ma la sua storia no.

Vive per strada per diversi mesi, “lavoravo la notte e di quello che guadagnavo potevo trattenere il valore di un panino e un caffè” mi dice. Un giorno Bianca scopre di aspettare un bambino. “Nemmeno per un attimo mi sono chiesta se tenerlo o no. Lui era il mio riscatto, l’ultima occasione per dare un senso alla mia vita” mi dice emozionata.

I suoi occhi profondi si illuminano, Bianca in quel momento non ha tempo, non occupa spazio, è solo un’anima che chiede disperatamente amore. La scoperta del suo bambino la spinge a chiedere aiuto e Angeli l’hanno accolta, lavata, alimentata, vestita, coccolata, ascoltata e protetta.

Da quel momento è iniziata la mia vita, come se fossi rinata. Ho imparato a rispettarmi, a prendermi cura di me, a non vedere il mio corpo come una merce di scambio, una moneta” prosegue. Un giorno ha cambiato nome, data di nascita, identità. Nella struttura dove è stata accolta ha imparato l’italiano e le prime basi per imparare un mestiere. Poi è nato il suo bambino “nel giorno del vostro Natale” mi dice. Il regalo più bello che la vita potesse farle, l’unico forse.

Con calma arriva un lavoro, una casa in affitto insieme ad altre persone, la libertà, l’indipendenza.

Bianca oggi ha ventinove anni, molti di più sulla pelle. Sul polso ha una ferita evidente ma non chiedo, non c’è motivo per farlo. Le chiedo di esprimere due desideri e lei divertita mi dice il primo è irrealizzabile, vorrei il colore della tua pelle “( e io vorrei il tuo coraggio.. ma non glielo dico) poi prosegue “il secondo è che la mia storia fosse d’aiuto anche solo per una donna, per chi pensa di non farcela, non ha la forza di cambiare strada, non ha il coraggio di ripartire.” conclude.

Cara Bianca, per il primo desiderio purtroppo sono impotente (ma ti assicuro che sei bellissima) ma per il secondo ci proviamo, insieme.

Valentina Cappelli

 

 

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