Se hai vissuto con un animale, conosci il profondo rapporto che si crea. È qualcosa che nasce dal sentimento puro, senza mediazioni mentali, senza ragionamenti.

Lo guardi e t’innamori ogni volta di più. Ti guarda e s’innamora ogni volta di più. Come sempre nella vita, se non hai vissuto questa esperienza, non riesci a capire fino in fondo, e queste affermazioni ti sembreranno esagerate ed esagerato e quasi morboso questo strano rapporto.

Per me, prima di Lillo, era così. Anzi, ero stata educata nella convinzione che gli animali domestici portassero malattie e che fosse preferibile lasciarli fuori dalla porta. Poi la vita mi ha sorpreso una volta di più, nel momento più buio della mia vita, quando ero senza difese affettive e disperavo di poter colmare la voragine che aveva aperto in me la morte del mio compagno di vita, lasciandomi in una solitudine desolante e che credevo senza futuro.

Lillo era un meticcio, cane di canile, già grande d’età quando l’ho adottato, di statura piccola, un po’ “tracagnotto”, spirito libero che non sopportava la gabbia e provava disperatamente a saltare la rete, per lui altissima, che lo divideva dal resto del mondo. L’ho visto in un filmato e l’ho amato immediatamente.

Da allora viviamo insieme, con lunghe passeggiate sotto ogni clima. È un cane che non ha conosciuto il gioco, non rincorre le palle, non ama rincorrersi con altri cani. È piuttosto un solitario, con un fortissimo istinto di cacciatore.

Ed è un cane immensamente dolce, di un’affettuosità disarmante, che bacia persino la veterinaria! Io lo amo profondamente. È riuscito in pochi mesi a costringermi di nuovo all’amore. Quello gratuito ed assoluto. Quello che c’è e non può che esserci.

Lillo ha ormai circa 11 anni. Recentemente ho dovuto sottoporlo a un piccolo intervento in anestesia totale.

L’ho accompagnato e abbracciato mentre lo addormentavano e lui, sentendosi andar via, tremava e tremava.  Ho avuto paura di non rivederlo, che qualcosa potesse andare storta. Fortunatamente si è svegliato benissimo e ha ripreso il suo solito entusiasmo di vivere.

Ma tutto questo ha riaperto in me la grande domanda sulla morte e sulla perdita di chi si ama, sulla sopravvivenza a chi si ama. Il cane solitamente muore molto prima del suo proprietario (che brutta parola proprietario!) perché la sua vita è molto molto più breve e ci interroga sul coraggio di amare e lasciarsi amare da chi poi inevitabilmente ci lascerà soli, a fare i conti con i nostri sentimenti. Mentre lo accarezzo e vedo il suo musino abbandonato sulla mia mano, mi chiedo se sia saggio tutto quest’amore senza difese, se non sarebbe meglio e meno doloroso più distacco.

E rivedo in un attimo la mia vita, la mia storia e tutto diviene metafora. Le persone in lutto si soffermano molto sul dolore della perdita, sull’assenza di chi si è amato. Meno sulla gratitudine di aver vissuto quella relazione di amore, per un compagno di vita, per un figlio, per un fratello, per un genitore, che abbiamo amato e che ci ha amato e che oggi non c’è più.

Sarebbe valsa la pena di amarsi meno allora, per soffrire meno oggi? Sarebbe stato meglio non averla proprio vissuta quell’esperienza per non provare poi quel che si prova?

Il cane mi insegna che tutto nella vita è impermanente, che in un attimo quel filo d’amore potente si spezzerà e avrò perso tanto. E mi insegna a vivere nel presente di quel sentimento, a goderne ogni istante, ad assaporare ogni attimo della mia vita e della vita dei miei cari, per poi portare per sempre nel cuore la profonda gratitudine di ciò che insieme abbiamo avuto, vissuto, amato.

RP volontaria QuaViO

    

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