Sono Davide Petriglia. Ho 23 anni. All’età di venti anni ho iniziato ad essere un educatore. Io credo di essere sempre stato un Educatore”.

Il racconto del nostro giovanissimo protagonista inizia cosi.

Dottore in  Scienze dell’Educazione e della Formazione a maggio 2024, ci dice “fin dal primo bambino con disabilità compagno di classe che aiutavo a scuola e
con cui facevo amicizia; fin dal primo libro “Sotto il Burqa” letto da adolescente; fin dalla prima situazione non agiata che ho visto con i miei occhi, mi ritrovo qui oggi a definirmi Educatore”.

Ed ecco come tutto e’ iniziato.

Ho sempre lavorato da quando avevo quindici-sedici anni come barista. 
Ho fatto anche le frittelle di San Giuseppe in quel periodo! A maggio 2021 inizio a fare anche i panini in Piazza del Campo quando mi arriva una proposta lavorativa diversa dalle solite. Mi viene chiesto se potesse interessarmi diventare “Educatore” di un ragazzo di quasi trent’anni con Sindrome di Down. Come farsi scappare un’occasione di questo tipo?  Così inizio ad avere i miei primi approcci ed a conoscere un mondo a me totalmente sconosciuto. Lavoravamo con Andrea sull’obiettivo di essere uomini adulti (forse inconsciamente era più un lavoro rivolto a me che a lui .. chissà) ed autonomi. Ricordo ancora la felicità di Andrea quando riuscì a comprarsi un tramezzino per merenda al supermercato
completamente da solo  Oggi invece lo si vede uscire dal supermercato con due buste piene. Ricordo anche l’orgoglio da parte mia. Una sua vittoria equivaleva ad una mia. È stato in quel momento che ho capito cosa fosse un Educatore. In quel momento ho capito l’importanza di
definirmi tale.  Il caso ha voluto che Andrea rientrasse in un importante progetto d’autonomia”.

Il Co-Housing

Tre anni fa, dunque, lui insieme ad altri tre ragazzi coetanei entrano a far parte di un progetto di Co-Housing; il primo di Siena e provincia gestito dall’Ass. Le Bollicine di Siena. Viene di conseguenza propostomi di entrare nell’equipe operativa. Senza pensarci troppo accetto la grandissima opportunità offertami. Così a novembre 2021 inizia il progetto
“Casa Dolce Casa””.

Il progetto è cresciuto sempre più con con tutte le sue sconfitte e vittorie (tante). Io invece ho imparato davvero molto. Ho conosciuto un mondo che non puoi conoscere fino a che non entri a farne parte. Ho imparato tanto dai ragazzi. Sono speciali. E non chi sa per quale motivo o per la loro disabilità… Quello non conta nulla! Per la loro unicità. Mi hanno insegnato cosa significhi la fiducia e come chiedere aiuto; mi hanno insegnato a saper gettare le maschere ed essere pienamente se stessi. Infine, mi hanno insegnato a combattere in qualcosa in cui credo. Questo non ha prezzo”. 

Che significa lavorare con e per la disabilità?

“Lavorando con le persone con disabilità ho avuto davvero l’opportunità di conoscere un mondo che prima
mi era sconosciuto. Quei ragazzi davvero mi hanno dimostrato l’importanza di chiedere aiuto e la capacità di capire chi davvero sia in grado di fornirtelo e chi no, arrivando così ad un discorso, anche, di fiducia. Chi sono io per avere una frase da dire a chi sta vivendo una condizione di disabilità… A primo impatto mi
verrebbe da dire che,se vogliamo possiamo. Siamo essere antropopoietici… Predisposti al cambiamento. Possiamo essere davvero ciò che vogliamo, basta volerlo e lottare per esserlo. Invece per quanto riguarda chi assiste persone con disabilità il mio primo pensiero va a tutti e tutte i/le caregiver che fanno un lavoro stupendo pieno di errori e speranza ma anche tanta fatica e dedizione. Il mio
primo pensiero va a loro, perché credo siano persone che veramente sappiano cosa significhi amare. In maniera scontata mi verrebbe da dire loro coraggio e complimenti, ma soprattutto vorrei tanto ricordare loro che esistono altrettanto e che è giusto avere bisogno di curare anche se stessi e che è veramente
importante farlo quanto riconoscerselo.”

Spenderei due parole anche per una categoria della quale spesso si parla troppo poco, già che siamo in
tema. Vorrei dire, senza avere le parole giuste, a tutti i Siblings che immagino che essere fratello o sorella di una
persona con disabilità può comportare sfide uniche ma che è importante ricordare che si è importanti e
valorizzati/e per chi si è, non solo per il ruolo di familiare. Ed altrettanto, che non c’è nulla di male a chiedere supporto o qualcuno con cui parlare se serve”.

Andrea Avella

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