Lunghi applausi e tanti commenti sui social. Il Drappellone per il Palio del 2 luglio si può dire decisamente “promosso”. Piace ai senesi; proviamo a spiegare il perché attraverso il pensiero di 3 donne molto diverse: una esperta di storia, un’artista e una psicologa.
L’esperta di storia (Maura Martellucci)
Il Palio alla tonda, il Palio delle Contrade, il nostro Palio nasce come festeggiamento (1658) in onore di Santa Maria della Visitazione alla quale il santuario della Madonna dei Miracoli è titolato (al tempo si venerava il 2 luglio, oggi il 31 maggio).
Il far nascere il drappellone dal busto della Vergine è solo questo un omaggio alle origini stesse del Palio (tra le molte altre cose che questo dipinto evoca: la composizione dell’altare maggiore della Collegiata, ad esempio).
Un omaggio dunque alle origini del Palio e alla nostra storia.
L’artista (Catia Prosperi)
Guardando il drappellone, dipinto da Giovanni Gasparro in onore della Madonna di Provenzano, ho avuto una fortissima emozione.
Con quei colori così delicati e i giochi di luci ricorda molto Caravaggio a cui il pittore si ispira.
Mi sono subito piaciuti i volti e la veste della Madonna che scende e si trasforma nel drappellone come è nella vera storia del Palio. Le Contrade dipinte tutte uguali possono significare come, alla fine, tutti siamo uguali di fronte alla religione e alle tradizioni. Mi hanno colpito molto gli sguardi e le mani, come il giovane (autoritratto) tiene con forza il drappellone e lo tira a sé, come se lo sentisse suo. E’ un drappellone di una vera bellezza divina che scalda i nostri cuori.
La psicologa (Cristina Rigacci)
Il drappellone è uno dei più importanti simboli del Palio: è quello che permette di mantenere, a livello fattuale, il ricordo della vittoria dello stesso Palio. Se si parte dall’idea che, come ogni altro simbolo, serve a mettere insieme, a legare e che è il legame a fare da perno nei passaggi dal simbolo al rituale, dal rituale ai riti e dal rito al mito (Indelicato, 2019) proprio lui – nostro drappellone – unisce il mito e il rituale della corsa (e del Palio più in generale) all’effettiva vittoria. Quello presentato ieri è risultato ben gradito a molti senesi. Trovare un perché valido a priori mi sembra impresa assai ardua e, forse, neppure opportuna. Sicuramente, come messo in evidenza da Maura Martellucci, nel suo radicarsi nella storia di Siena ha, più o meno inconsciamente, risuonato in noi aspetti peculiari della nostra tanto cara storie e appartenenza senese. Quest’ultima si sa: si sviluppa in (e grazia a) confini ma si mantiene proprio e anche grazie a simboli e segni comuni condivisibili (De Simone, 2023). Quindi, per come l’ho visto io, la sua eleganza, il suo chiaro collocarsi (e forse neppure il suo non andare oltre!!) nei confini senesi lo ha potuto rendere, quanto meno, più “nostro” e forse proprio per questo più bello.