Dove non mi hai portata”: omaggio a Lucia, madre biologica dell’ autrice
Maria Grazia Calandrone.

“Dove non mi hai portata”, edito Einaudi, è un viaggio a ritroso nel tempo, una narrazione per restituire vita ad una di quelle due madri, per la precisione quella biologica, che ha segnato la sua esistenza.

L’ autrice, percorrendo insieme a sua figlia un viaggio alla scoperta dei luoghi in cui ha vissuto Lucia, ne rievoca la storia, dall’ infanzia trascorsa nella campagna di Palata, in provincia di Campobasso, fino al momento in cui, insieme a Giuseppe, suo compagno e padre, anche se non legalmente, della bambina da lui avuta, lascia Maria Grazia, di appena otto mesi, nel Parco di Villa Borghese, per poi raggiungere il Tevere, dove, insieme, i due mettono fine ai loro giorni.

Da giornalista, oltreché scrittrice, Calandrone porta avanti una vera e propria indagine che mette in luce non solo il dramma di Lucia, costretta ad un matrimonio senza amore e per giunta non consumato, ma anche quello delle donne che fino agli anni ’70 del 1900 vivevano in condizione di minorità rispetto agli uomini, condizione non solo nei fatti, soprattutto in certi contesti, ma anche nella forma, con la legge che discriminava la condizione femminile.

Lungi però dall’ essere un’ opera femminista, racconta uno spaccato sociale negli anni del boom economico, in cui, però, una coppia di fatto, non regolare, viveva con difficoltà il quotidiano. Difficoltà che alla fine indussero Lucia e Giuseppe ad arrendersi, non prima però di aver pianificato l’ abbandono della figlia, non sulla porta di un ospedale o di una chiesa, ma nel Parco di Villa Borghese che ai loro occhi potrebbe aver rappresentato una possibilità migliore per il futuro della propria figlia: ” Lucia e Giuseppe escogitano un gesto pazzo e forte, che attragga l’attenzione sulla bambina e la bambina non rovini nella loro rovina” scrive Calandrone in una delle ultime pagine di questo viaggio che recupera alla memoria la storia di una giovane donna forte e volitiva che fa scelte precise, audaci e sempre consapevoli.

Questo non può definirsi un libro semplice, non sempre lo è: l’ autrice dimostra la sua maestria nell’ uso della lingua italiana come strumento per raccontare anche quei sentimenti profondi che riguardano la ricerca di una verità assoluta, che non lasci ombre sulla vicenda di Lucia e del suo compagno, coppia i cui comportamenti oggi risulterebbero normali, mentre allora furono scandalosi e stigmatizzati.

Seppure non sempre di facile lettura, “Dove non mi hai portata” è un’ opera di valore, che, forse, avrebbe meritato lo Strega 2023, dopo essere entrata nella cinquina dei finalisti.

Marina Berti

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