Via della Galluzza, che unisce via di Diacceto con via Santa Caterina, è senza dubbio una delle più caratteristiche di Siena, sia per la sua notevole pendenza (il “Campione” del 1789 la denomina significativamente “costa ripida di Diacceto o via della Galluzza”), sia per la serie di archi che la contraddistinguono nella parte compresa tra il vicolo del Costaccino e via di Diacceto.
Ad onore del vero, però, va precisato che tale soluzione architettonica non risale all’età medievale, come si potrebbe pensare. Nella veduta di Siena disegnata da Francesco Vanni alla fine del Cinquecento, infatti, la serie di archetti non viene rappresentata e l’unico grande arco visibile è quello, ancora oggi esistente, ad angolo con il vicolo di Costaccino, che per dimensioni e struttura sembra il fornice di un’antica porta urbana.
Questa, forse, poteva far parte dell’ampliamento della cinta muraria costruita ai primi del Duecento, che dalla zona di Camporegio raggiungeva Vallepiatta. Tutti gli altri archi furono aggiunti ai primi dell’Ottocento per sostenere i fabbricati pericolanti posti ai lati della strada, danneggiati pesantemente dal terremoto del 26 maggio 1798.
Nel passato l’etimologia di via della Galluzza è sempre stata posta in relazione alla presenza del mercato di pollame che si teneva tra la Costarella, Beccheria e, appunto, questa strada.
Secondo alcuni autori la stessa porta Salaria si sarebbe chiamata anche di Gallaia o Gallinaia perché dava accesso al luogo in cui si vendevano i gallinacei.
Giovanni Antonio Pecci nel Settecento, ad esempio, afferma si denominasse “Gallinaja perché innanzi e fuori di quella [porta] si faceva il mercato di simili derrate”. Effettivamente la compagnia di porta Salaria aveva per insegna due archi sormontati da un gallo bianco in campo rosso e, secondo la tradizione, nel Cinquecento avrebbe partecipato alle feste pubbliche sul Campo organizzando una propria contrada, detta appunto del “Gallo”, che ancora oggi prima del Palio sfila nel Corteo Storico tra le sei contrade non più esistenti.
Il nome, in verità, ha probabilmente un’altra spiegazione. In età medievale il reticolo di vie che scende in Fontebranda era il regno dell’Arte della Lana, che lungo di esse aveva botteghe, cellieri, tiratoi, botteghe di cardatori e di tessitori. Più giù, intorno alla fonte, sorgevano le conce e le altre strutture dei cuoiai. Una presenza così numerosa di opifici e fondachi segnò inevitabilmente la toponomastica del rione, ed in questo contesto può essere interpretata anche l’etimologia di via della Galluzza. Questa, infatti, potrebbe derivare dalla “galla”, o “gallozza”, nome con cui si indica il rigonfiamento che si forma sulla corteccia degli alberi (querce, cerri, faggi) a causa di un insetto che depone delle larve al suo interno. E in antico la “galluzza”, o “galluzzola”, era per l’appunto un diminutivo di galla, cioè una piccola galla.
Le proprietà della galla erano note sin dall’epoca romana, ma è a partire dal Medioevo che l’acido tannico e l’acido gallico contenuti la suo interno sono ampiamente utilizzati proprio nell’industria tintoria e nella concia delle pelli, i cui opifici abbondavano in Fontebranda, oltre che per produrre l’inchiostro. Più in particolare, l’acido tannico ha le proprietà di far precipitare dalle loro soluzioni l’albumina e la gelatina e quella di trasformare la pelle degli animali in cuoio (la concia delle pelli), il quale resta pieghevole e non imputridisce come avverrebbe se la pelle non venisse conciata. Inoltre l’acido gallotannico ha estesa applicazione in tintoria come mordente.
Tratto da: “Stranario/Stradario. Curiosità e stranezze nei toponimi di Siena”, Roberto Cresti e Maura Martellucci, (Betti Editrice Siena, 2004)