Avanti c’è posto! Per chi preferisce le tagliatelle alle pistole, la scoperta al pregiudizio, la condivisione all’odio.

Il racconto di Federica Scaglioso.

“Cronaca della nostra seconda cena di “Aggiungi un posto a tavola”. Con gratitudine verso il gruppo di Sisolidal e la speranza che tanti altri ancora si aggiungano a questa semplice iniziativa a cui è facile aderire e per niente impegnativo.

Mi sveglio stanotte alle tre e mezza.
“Oh, no, ho dimenticato di lasciare in bagno il phon, per dopo la doccia! ”
Hakeem non me lo ha chiesto, ieri sera, per riguardo.
Mannaggia a me, io non li asciugo mai i capelli con il phon, per questo non ci ho pensato.

Poi mi riaddormento, mi consolo pensando che comunque è stata una bella serata, e magari con i capelli corti e il calduccio che c’era in casa i capelli gli si saranno asciugati subito, dopo la doccia.

Seconda serata con i ragazzi, Shahid, pakistano, e Hakeem, afghano.
Due settimane fa a casa di Laura. Stavolta a casa mia.
Ho fatto la pizza. Avevo pensato di comprarla, per andare sul sicuro, anche perché a tavola in otto, magari veniva male e come rimediavo?

Ma la pizza è un rito collettivo atavico, in Italia. Un simbolo di collettività, di serate insieme. A un tavolo in cui si mangia pizza fatta in casa c’è sempre un posto in più da offrire, basta stringersi appena. Si mangia con le mani, di spazio ne basta poco. Un piatto solo, niente posate, e una Coca fredda.
“Ne vuoi un altro pezzo?”.
“Mi passi quello con più crosta?”

La pizza è un passo in più verso la confidenza e l’allegria.

Da piccola andavo nelle case delle mamme delle mie compagne di scuola, il sabato sera, perché mia madre non la sapeva fare. Loro invece sì. La mamma di Veronica, la mamma di Claudia. Ogni sabato pizza e chiacchiere a casa di una di loro.

Forse mi è entrato dentro da allora. Il sabato pizza, e se non è il sabato, va bene anche il venerdì.

Sono arrivati presto i ragazzi, fuori era umido e freddo. E a parte la notte, in cui molti di loro possono dormire nelle stanze gentilmente offerte come riparo da Rifondazione Comunista, il resto della giornata è da passare in giro, tra parco, lezioni, mensa, e tante tante camminate a piedi per andare da un posto all’ altro.

Sono cambiati rispetto a due settimane fa. Più tranquilli, meno imbarazzati, e soprattutto sanno meglio l’italiano! Entrambi. In due settimane soltanto. Merito delle lezioni quasi quotidiane che seguono entrambi, come bravi studenti, da Lavinia e all’università per stranieri.

La serata si è accesa pian piano, riempiendosi di parole, di gesti, anche di risate. Hakeem è sempre un po’ riservato, e i nostri modi invadenti a volte stonano con la sua naturale ritrosia. Ma pian piano anche lui commenta, ride, scherza pure un po’. Soprattutto parla con Laura, sua vicina di tavolo, lei ha una voce pacata che di certo lo mette più a suo agio del mio trillare incessante.

Shahid , come mediatore, accompagna i suoi protetti nelle varie case. Lo prendiamo in giro: “troppe cene, eh, con questo progetto ‘aggiungi un posto a tavola’. ”
Senza dubbio serve anche a lui, il suo italiano è molto migliorato e ci complimentiamo. Anche se a volte non ci capiamo, noi chiediamo una cosa, e lui risponde con un’altra: nuova occasione di sorrisi.

Il mio salotto così animato era un po’ di giorni che non lo vedevo. Mi guardo intorno. C’è la foto di mia madre da piccola, appesa a un angolo della stanza. Lei sì, avrebbe approvato questo incontro di culture. Lei che usciva di casa di corsa se vedeva qualcuno in difficoltà. Lei che invece la malattia, negli ultimi anni, aveva reso cieca agli altri, perfino razzista un po’. Ma non era lei. Era la sua mente in tilt. Uno scherzo atroce del destino, o di Dio.

Mentre mi volto intorno noto che ho lasciato mille delle mie cose sparse in salotto. Che disordinata che sono. Coperte per il divano ovunque, fogli, quaderni, penne, appunti, di tutto un po’. In un angolo perfino i compiti in classe di storia della musica appena corretti.

Ma l’atmosfera festosa me lo fa subito dimenticare. Torno dai miei ospiti.
Siamo al dessert, una torta fatta da Lucia, burrosa e buona, al cioccolato.
“Volete un caffè?” Chiede mio marito.
Nessuno. Le abitudini italiane non
sono arrivate a 5000 km di distanza .
“Io ho del chai però ” esclamo
Shahid mi raggiunge in cucina, lo prepara per tutti, io lo osservo e imparo: latte, si scalda in un pentolino, intanto si aggiunge zucchero, chai, e si porta a ebollizione mescolando un po’.
Tutti lo vogliono assaggiare, anche Lucia e Teresa. Buonissimo.

Sento il calore di questa serata. E non grazie ai termosifoni. È aumentata la complicità, e anche la confusione rispetto alla volta scorsa.

“La prossima volta che venite qua cucinate con noi? ” Chiedo.
” Però da me senza carne” aggiungo.
Accettano, mentre salutano.
Vanno via tutti insieme. Hakeem, Shahid, Lucia, Teresa, Laura.

Le voci per le scale mentre scendono. E la casa improvvisamente vuota.

Guardo di nuovo la foto di mia madre, nel portaritratti.

Se anche lei fosse stata qui, stasera, si sarebbe divertita di certo.

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