Domenica 5 alle 11:00, presso Libreria Becarelli di Siena, la storia di “Fata Berciona” sarà raccontata ai bambini.
Quante volte i bambini, ma anche gli adulti, tentano di imporsi a suon di “berci” (urla ndr)? È davvero necessario?
La storia della Fata Berciona, ambientata alle porte di Siena, ci fa scoprire, attraverso risate e sorprese, che sono l’affetto e la vicinanza il miglior metodo di comunicazione. Protagonista di questa scoperta Valeria Trincilla senese di adozione e autrice. Ma non solo. Valeria e’ mamma e grazie all’amore per sua figlia ha scoperto il suo talento per la scrittura.
La storia di Valeria scrittrice: lei la racconta così
Sono nata in Sicilia e sono sempre stata un’appassionata di romanzi e di scrittura. A18 anni mi sono trasferita a Siena dove ho studiato Filosofia. Ad un mese dalla mia tesi triennale ho perso mio padre e mi sono mantenuta da sola alla specialistica, facendo la commessa.
Mi sono laureata con il massimo dei voti ed ho lavorato per un anno nell’editoria. Sono tornata a Siena a lavorare come commessa nel negozio in cui avevo lavorato durante gli studi.
La svolta
Poco dopo sono diventata mamma, il padre di mia figlia ed io ci siamo separati presto, e nel giro di qualche anno ho trovato impiego in un’azienda che ha creduto in me: mi ha permesso di avere un orario adeguato per gestire mia figlia e di mettere a frutto in parte le mie qualità, attraverso la creazione di testi per il loro sito e i loro canali social.
Ho sempre scritto. I miei cassetti e il mio pc sono disseminati di pezzi di racconti più o meno incompiuti, ma non ho mai davvero pensato di raccoglierli, completarli, farne qualcosa.
Ho sempre pensato che le mie priorità fossero altre.
Irene
Poi è arrivata Irene, mia figlia, una bambina curiosa, solare e sempre affamata di storie. Alle volte, invece che di leggerle uno dei nostri mille libri, mi chiedeva “Mamma, mi racconti una storia?”. La prima che le raccontai fu la storia di mio nonno: “La storia di Vincenzino”, me la ricordo ancora. Mi aveva preso alla sprovvista, non sapevo cosa raccontarle che già non conoscesse e ho fatto appello alla memoria.
Il racconto l’appassionò tantissimo e da allora mi ricordo che ci fù un periodo in cui mi chiedeva sempre di raccontarle storie “inedite”, così sono nati personaggi che ci hanno fatto sbellicare dalle risate, ma anche riflettere: “Il Drago Pippo”, “Il pulcino Ciro”, “Fata Berciona”, “Pié Veloce”, “Mentolina” ed altri.
Un bel giorno, non so come è successo, Irene mi ha chiesto perché di lavoro non scrivevo i libri, dato che le mie storie erano bellissime. Me lo ha ripetuto varie volte ed è riuscita a convincermi a scriverle.
Un’altra “motivatrice” accanita è stata la mia amica Elena, che non approvava “che il mio fosse un talento sprecato”. Diciamo che il mio lavoro di scrittura è stato un po’ alla rovescia: prima le ammiratrici e poi il libro.
Un incontro
Tramite alcune conoscenze comuni ho incontrato un giorno Carlo Covati, che ha subito creduto nel mio primo racconto “Fata Berciona”. Abbiamo inserito dei collegamenti al territorio e alla parlata senese ed ecco che ora Fata Berciona è diventata un libro presente in tutte le librerie senesi, edito da il Leccio e illustrato da Marianna Gepponi.
La trilogia
Fata Berciona fa parte di una trilogia.
Sono storie ironiche, un po’ fantastiche e allo stesso tempo vicine a noi, ai nostri errori (Berciona alza sempre la voce per farsi sentire, Pié Veloce va sempre di corsa e si perde tante cose, Mentolina non crede che il suo semplice essere sia abbastanza).
Credo che il momento della fine giornata, quando si mettono a letto i bambini, sia un momento davvero importante, in cui fermarsi e condividere, attraverso le storie, qualcosa che sfugge durante il giorno.
Sono convinta che divertendosi i bambini imparino di più. Ridere di piccole assurdità, di personaggi insoliti, li mette a proprio agio, il loro mondo è quello dell’allegria e dell’empatia. Così ho creato storie divertenti e piccole avventure in cui immedesimarsi.
Chi e’ Fata Berciona
Fata Berciona è una fatina che è conosciuta per terra e per cielo perché bercia per qualsiasi cosa. Lei non chiede, non dice: urla. Un giorno, però, perde la voce e lì si trova in una situazione spaventosa per lei, perché non ha idea di come fare senza berciare. Sarà l’esperienza di quei giorni di silenzio ad insegnarle che la prossimità, la vicinanza, l’affetto che lega noi ai nostri cari, è un luogo in cui le parole non servono.
Fermandosi, zittendosi, Berciona scopre che tutto ciò che credeva imprescindibile per farsi sentire, per farsi vedere, non serviva a nulla. Era soltanto una sua idea, dettata dalle sue convinzioni, ma anche dalla disattenzione in realtà, che è un po’ il male dei nostri tempi: tutti di corsa tra scuola, lavoro, impegni ricreativi, ansie, tante ansie. Il cambiamento che avviene nelle protagoniste dei miei racconti ha sempre la stessa, comune, scintilla: un obbligato fermarsi. È lì che hanno modo di vedere se stesse e gli altri.
Valeria
Sicuramente questi racconti parlano anche di me.
Parlano di me e di tanti altri genitori: che corrono, che alzano la voce per essere visti, che credono di dover essere di più di quello che sono, perché non sono abbastanza; ma allo stesso tempo parlano delle possibilità che la vita ci offre per fermarci un attimo e chiederci se quello che stiamo facendo, con tanta fatica, sia davvero necessario.
La vita insieme a mia figlia è stata la mia possibilità per ricominciare a scrivere, grazie alle opportunità che crescere un bambino ci dona, una su tutte il fermarsi. Fermarsi alla sera per mettere a letto mia figlia, quando l’ufficio è ormai chiuso, come la piscina e il supermercato, quando tutti pasti del giorno sono stati ormai organizzati e la cucina è in ordine, quando la giornata è finita, lì c’è un tempo che non appartiene al mondo con il suo tran tran, ma soltanto all’intimità della famiglia.
È un momento di raccoglimento a cui i bambini ci chiamano, chiedendo di metterli a letto, di raccontare loro una storia.
Se siamo presenti, quel momento è un’occasione per riflettere insieme, per sorridere delle storture dei personaggi che incontriamo, che sono un po’ anche le nostre.
Per raccontare ai bambini un mondo in cui nessuno è perfetto, in cui si può ridere delle difficoltà e provare sempre a mettersi in discussione.