E’ stata una cerimonia itinerante per le vie di Siena quella a cui ho partecipato martedi 14 Gennaio, insieme a tanti cittadini e autorità comunali, provinciali e regionali.

La cerimonia per la deposizione di 7 pietre d’inciampo organizzata dal Comune di Siena si è svolta davanti a 4 abitazioni della nostra città dalle quali, nella notte tra il 4 ed il 5 Novembre 1943 furono prelevati, dai fascisti locali, nostri concittadini per essere poi consegnati nelle mani dei nazisti, deportati e assassinati ad Auschwitz.

Erano presenti alcuni discendenti dei deportati che hanno raccontato la storia dei loro cari che furono strappati dalle loro case quella terribile notte: Ubaldo Belgrado, un orologiaio residente in via della Diana 35, Gina Sadun con le due figlie Graziella e Marcella Nissim, poco più che adolescenti, residenti in Pian dei Mantellini 22, Ernesta Sadun Brandes, una anziana signora di 84 anni residente in via Stalloreggi 89 ed una coppia, Adele Ayò e Gino Sadun, residente in viale Cavour 142. Un unica cosa in comune, quella di essere ebrei.

Deporre le pietre d’inciampo è stato come riportarli idealmente nelle loro case.

In questa gelida giornata, è stato inevitabile immaginarsi quei momenti e pensare a quello che possano aver provato queste persone, nell’essere strappati improvvisamente alla loro vita, dalle loro case, dalla loro città e ritrovarsi dopo pochi giorni nel gelido e terribile campo di Sterminio di Auschwitz.

Mi ha estrememente commosso venire a conoscenza che l’ultima cosa che ha fatto Ubaldo Belgrado mentre salutava la propria famiglia, graziata da un pentimento in estremis del fascista che era andato ad arrestarli, è preoccuparsi che l’orologio che aveva finito di riparare poco prima, fosse riconsegnato al proprietario, cosa che è stata poi fatta dopo la guerra.

Gesti semplici che acquistano un grosso valore sapendo quello che poi è stato.

Le pietre d’inciampo sono un’iniziativa dell’artista tedesco Gunter Demnig attuata in diversi paesi europei e consiste nell’incorporare, nel selciato stradale delle città, dei blocchi in pietra ricoperti da una piastra di ottone della dimensione di un sampietrino, posta davanti alla porta della casa in cui abitò la vittima del nazismo, indipendentemente da etnia e religione, sulla quale sono incisi il nome della persona, l’anno di nascita, l’eventuale luogo di deportazione e la data di morte, se conosciuta.

Questo tipo di informazioni intendono ridare individualità a chi si vedeva ridurre soltanto a numero. L’espressione “inciampo” deve dunque intendersi non in senso fisico, ma visivo e mentale, per far fermare a riflettere chi vi passa vicino e si imbatte, anche casualmente, nell’opera.

Nel momento in cui passeggiando nella nostra città “inciamperemo” in una di queste opere ci ricorderemo di questi nostri concittadini, nostri vicini di casa, compagni di classe, commercianti, contradaioli, li ricorderemo ma non solo, rifletteremo perchè questo non riaccada mai più.

Noemi Caro

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