Da un’idea di una professionista sul campo, un progetto che e’ nato in Valdichiana grazie al volontariato dell’associazione aretina Calcit che lo ha finanziato. Un’intuizione virtuosa che potrebbe trovare realizzazione in altre zone della toscana.
“Prendiamoci Cura di Chi si Prende Cura” questo il titolo del progetto che ha per scopo il miglioramento della qualità di vita di chi assiste il malato in cure palliative. Un’idea innovativa si direbbe “pilota”(prima nella Azienda USL Toscana Sud Est e in ambito regionale ) per promuovere la cultura del sollievo dalla sofferenza attraverso un supporto assistenziale e psicologico al caregiver che assiste il malato al proprio domicilio fornendo un aiuto concreto alla famiglia.
E’ stato realizzato in collaborazione con una cooperativa e l’equipe di Cure Palliative della Zona Distretto della Valdichiana Aretina: fondamentale, come detto, il contributo del terzo settore.
Per capire meglio il progetto, gli obiettivi e le premesse per la sua adozione, abbiamo incontrato la dottoressa dottoressa Concetta Liberatore Direttrice Uoc Cure Palliative Azienda Usl Toscana sud est che lo ha concepito e “visto nascere”. Ecco cosa ci ha detto.
Da quali bisogni nasce il progetto?
“Donare ore di libertà e di sollievo a chi è in contatto quotidianamente con un malato grave è un gesto di grande umanità e solidarietà ; il caregiver è una figura importante nel nostro lavoro. Spesso coincide con uno o più componenti della famiglia: è a lui che rivolgiamo l’attenzione in questo progetto, perché si rafforzi il suo valore a volte sopito e deviato dalla fretta e anche svilito dalla paura di confrontarsi in modo empatico, solidale e propositivo con chi quel dolore globale, unico e irripetibile lo vive tutti i giorni, nel luogo dove il malato ha scelto di stare e concludere il suo percorso di vita . Le ore messe a disposizione nel progetto permettono al caregiver di trovare sollievo. Una risposta concreta ai suoi bisogni. Potersi allontanare per qualche ora di svago, leggere un libro, dedicarsi al proprio tempo, lasciando il proprio familiare fragile e vulnerabile in mani esperte. Questo progetto vuole lanciare un segnale positivo all’intera comunita perché si diffonda la cultura del sollievo e l’importanza di accedere alle cure palliative per i malati e le loro famiglie che giungono nella fase avanzata ed evolutiva di una malattia inguaribile.
E’ un percorso complesso che noi tutti dobbiamo costruire nel tempo assieme alle istituzioni locali , ai cittadini della zona affinché l’accesso alle cure palliative, alla qualità di vita (e del fine vita) non rimanga un privilegio di pochi ma un diritto di tutti come prevede la Legge 38/2010″
Lei che è l’ideatrice ci spieghi, gentilmente, vantaggi ed aspetti di criticità.
“Il progetto lancia un importante messaggio all’intera comunità, alle istituzioni e ci consente di fare una riflessione generale, etica, giuridica -sociale-professionale all’insegna di quelli che sono i due elementi rilevanti per i nostri malati e loro famiglie nel percorso di una malattia cronica inguaribile, ad esito infausto: la sofferenza e il sollievo. Un binomio inscindibile nella malattia terminale perché ne rappresenta il tratto più estremo, il confine della vita e della umanizzazione, oltre i quali la dipartita, l’oblio. La sofferenza, quella globale, fisica e psichica, espressione di più generi specifici che racchiude la centralità dei bisogni di un malato e della sua famiglia nel percorso evolutivo di una malattia cronica inguaribile; il sollievo, il contenitore di cura di attenzione, tenerezza, vicinanza, sostegno e amore, che argina la sofferenza e dà rispetto alla dignità. Quale, quindi, l ’alveo in sanità che consente al sollievo di risvegliare la sensibilita’ verso ciò che è concretamente possibile fare verso i fragili e i sofferenti in questa che è la prova più dura della loro vita e che oggi più̀ che mai sembra sopita dalla fretta e dall’ impreparazione e paura verso di chi è nella prova della sofferenza, del dolore? E’ Il diritto di accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore l’alveo del sollievo. Un diritto sì garantito da una consuetudine che permette di considerare quasi fondato il principio di tutela della salute ( art 32) , ma che una legge, la L.38/2010 (e successivi decreti attuativi), ne ha garantito l’accesso nell’ambito dei LEA (Livello Essenziali di Assistenza ndr) e ne ha attribuito ad un modello di Rete, La Rete di Cure Palliative , universale e globale, il compito di governarne i percorsi di cura e assistenza, con appropriatezza, efficacia, e sicurezza , rispettando i bisogni, salvaguardando la dignità, l’umanità e autonomia del malato, e perché ciò che è espressione di qualità di vita, non rimanga un privilegio di pochi ma un diritto assoluto di tutti.
Forse, direi, questo l’aspetto più innovativo e delicato del progetto che vorrei sottolineare. Entrare a contatto con la sfera psicologica, emotiva e fisica di una famiglia di un malato terminale e accompagnarlo per tutto cammino evolutivo del fine vita, forse la criticità più rilevante da gestire. Ci auguriamo che nel tempo il modello si affini e che possa con il tempo diventare di riferimento , concreto, pratico e di aiuto alle famiglie”.
Come si è arrivati alla sua attuazione “sul campo”?
“Dall’esperienza maturata in questi mesi di lavoro con il team di cure palliative nella UF Cure Palliative della Valdichiana aretina e con il supporto di una psiconcologa è emersa la necessità di dedicare anche uno spazio mirato all’analisi dei bisogni comunicativi/relazionali del paziente nel rapporto con se stesso e con la famiglia /caregiver. Poi il Calcit Valdichiana ODV ha trasformato l’idea in progetto promuovendolo”.
Avete già dei dati che spieghino gli “effetti sul terreno” del progetto stesso?
“Il servizio è stato accettato e apprezzato. In particolare, durante l’analisi dei bisogni delle famiglie che hanno fatto richiesta del servizio, è emerso una diffuso consenso sui benefici apportati dalla cooperativa che ha svolto il lavoro concreto. Non potersi assentare da casa, dovendo sempre assistere il malato in fase di trattamento palliativo e durante le varie fasi evolutive della malattia e/o con necessità particolari, è un problema: alleviare il gravoso compito con una presenza può essere una soluzione.
Stiamo ancora analizzando i dati e i risultati conclusivi li avremo nel luglio prossimo a termine dello studio”
E’ un’idea che si può eventualmente estendere ad altri territori della stessa USL o in Toscana?
“Assolutamente sì. Abbiamo un territorio straordinario e ricco di opportunità. La collaborazione con tutti gli attori della Rete Locale di Cure Palliative rappresenta una risorsa per nuovi elementi di analisi e ricerca che in questo caso marciano parallelamente all’idea del progetto che abbiamo messo in campo e che sono destinati ad incontrarsi: da una parte la realizzazione di uno studio di più ampia portata che valuti anche gli effetti sui malati in termini di cambiamenti delle condizioni preesistenti, dall’altra parte la rilevanza gestionale del sollievo prodotto dalla riduzione del carico sui caregivers nella organizzazione del servizio di assistenza domiciliare in cure palliative”.
Qual è la situazione delle cure palliative nel nostro territorio? Esiste nella collettività “la cultura” delle cure stesse?
“Sulla prima domanda sono fiduciosa. Gli obiettivi sono lontani ma la strada è tracciata. Abbiamo iniziato a costruire nel territorio della Azienda Usl Toscana Sud Est il modello organizzativo della Rete di Cure Palliative. Un passo in avanti importante per garantire l’unitarietà, l’universalità e la continuità nella presa in carico dei malati in fase avanzata e terminale di malattia, indipendentemente dal tipo di patologia e dall’età. La Rete oggi rappresenta la risposta più adeguata per rispondere in modo tempestivo , funzionale e integrato ai bisogni emergenti di cure palliative di una popolazione complessa e in costante evoluzione , rappresentando un argine contro la frammentazione dei processi assistenziali che, se non adeguatamente coordinati da una struttura di riferimento, comportano rischi di ripetuti ricoveri ospedalieri e interventi diagnostici e terapeutici inappropriati e costosi, con scarso beneficio per i pazienti e per i loro familiari. E oggi nella sud est andremo verso una chiara definizione di setting e percorsi che andranno a comporre la Rete Locale di Cure Palliative nelle tre province.
Sulla seconda domanda meno. Se lei mi chiede se esiste nella nostra collettività la cultura delle cure palliative io le rispondo non ancora. Le cure palliative in Italia sono un diritto di tutti. Ma non tutti ne hanno consapevolezza e conoscenza . E a prevederlo è una legge la numero 38 del 2010, che garantisce «l’accesso alle cure e alla terapia del dolore da parte del malato, al fine di assicurare il rispetto della dignità e dell’autonomia della persona umana, il bisogno di salute, l’equità nell’accesso all’assistenza, la qualità delle cure e la loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze». Eppure, ancora oggi, questo diritto resta in parte solo sulla carta e troppo spesso, a causa della mancanza di risorse, il malato viene lasciato da solo con la sua famiglia davanti al dramma del dolore e all’angoscia della morte. C’ è ancora tanto da fare, e tutti dobbiamo muoverci verso la stessa direzione della solidarietà, reciprocità, umanizzazione nelle cure e assistenza verso i fragili malati. Questo vuol dire essere portatori di pensieri nuovi di speranza che, per quanto effimera sia, rappresenta un principio di civiltà non solo sanitaria ma anche sociale”.
Poi la dottoressa evidenzia un aspetto.
“Colgo l’occasione per ringraziare il CALCIT VALDICHIANA ODV promotore dello studio, la Direttrice di Zona distretto Valdichiana aretina , la dottoressa Giotti Manuela, i professionisti della Rete di Cure Palliative dottoresse Maria Magdalena Bozzi e Adelna Kapllani, e la psiconcologa dottoressa Sofia Seri. E poi i medici di medicina generale e del reparto di oncologia medica della Fratta”.
Sienasociale.it ringrazia per la disponibilità l’ufficio stampa di Azienda USL Toscana Sud Est