In ambito psicologico, è noto ormai da anni il legame esistente tra uomo e animale dove quest’ultimo si caratterizza per essere non solo un compagno di vita ma anche come luogo proiettivo di esigenze umane profonde, simboliche, arcaiche ed archetipiche (Crocetti, 2011).

Detto altrimenti, ogni animale porta ed evoca significati sottesi e nascosti rivelando, a chi sa leggerli, aspetti (di rilevanza psichica) anche di chi lo sceglie.

Nel caso specifico del gatto (Ibidem, 2011, pp. 90 e 91), esso è l’animale più presente nelle diverse culture “la sua rappresentazione immaginativa, simbolica ed iconografica altro non è che una traduzione del lavoro della seduzione. La seduzione del bene e del Male”.

E’ l’oggetto attraverso cui l’adulto recupera un’esperienza aggressiva arcaica che ha a che fare con la figura di riferimento primaria (la madre) richiamando anche aspetti legati al dominio. Pertanto l’esperienza con il gatto è “un’esperienza carica di privazioni e di deprivazioni che cercano un oggetto su cui trovare conforto”.

Premesso tutto ciò e – anche volendo prescindere da ciò – mi sono voluta soffermare a riflettere su coloro o colui che ha scuoiato il povero Leone e, in generale, mi sono chiesta perché un essere umano può arrivare a far del male ad un altro essere vivente (come un animale) che non appartiene neppure alla stessa specie innescando di fatto a priori, un qualcosa di impari.

Ovviamente il tema della violenza sugli animali è così complesso che non ho la presunzione o l’idea di trovare una risposta in poche letture. Però qualcosa ho scovato ed è anche in linea con quello che fu detto, da molti miei colleghi, un anno fa quando successe di Leone (Ciaravolo, 2023).

Infatti, è opinione comprovata da molti studiosi (Ressler, 1998; Magnaro, Sorcinelli & Tettamanti, 2012; Ascione, 2001) che il maltrattamento degli animali nell’età infantile, adolescenziale o adulta è un comportamento socialmente inaccettabile in quanto fonte di dolori e sofferenze non necessarie nei confronti di un essere vivente. Se da un lato può rappresentare un sintomo di una situazione patologica conclamata va comunque, a priori, considerata un indice di pericolosità sociale presente o futura.

Più nello specifico (Marzano, 2019), soprattutto tra gli studiosi di criminologia, si usa la parola “link” per indicare la forte correlazione fra maltrattamento e/o uccisione di animali, violenza interpersonale e altre condotte devianti, antisociali e/o criminali (per esempio omicidio, stalking, violenza domestica, spaccio, rapina, truffa, crimini rituali).

Inoltre, oggi c’è proprio chi parla di dog (o cat) offender (Calzolari, 2023) per indicare la criminalità intrinseca di chi maltratta un animale anche partire dal caso più classico di maltrattamento cioè l’abbandono (Zamboni, 2018).

Quindi è importante non sottovalutare il valore predittivo che maltrattamento ed uccisione di animali hanno in funzione delle implicazioni sociali future e dare giusto rilievo, anche a livello culturale e territoriale a certi accadimenti che hanno, a mio modesto parere, solo il sapore dell’orrido e del brutto.

Ma……… avendo parlando di gatti, di cose brutte a loro accadute e dell’importanza della sensibilizzazione a certe tematiche sul territorio come strumento di prevenzione, mi piacerebbe concludere queste mie riflessioni con qualcosa di bello che c’è nella nostra Siena per i gatti che hanno vissuto maltrattamenti (soprattutto l’abbandono). Mi riferisco ai Cassiopei, un’associazione (e una casina “A…mici miei”) che accoglie e cura gatti che sono stati, appunto, abbandonati. Anche il gatto che vive con me, mio marito e il nostro cane viene da lì. Albi (la nostra canina) ancora non era neppure nei nostri pensieri; al contrario, con i gatti ci sono cresciuta io e anche la storia mia e di mio marito: uno dei primi regali che mi fece fu proprio una gatta!! Era l’inizio primaverile del 2016 quando la nostra fedele amica ci stava evidentemente, e purtroppo, lasciando a causa degli acciacchi dell’età (aveva più di 16 anni ed era in evidente sovrappeso). Mio marito, tra lo sconforto e il bisogno di reagire a tale dolore, aveva iniziato, negli stessi giorni, a guardare su internet alla ricerca di un eventuale altro gatto da adottare dopo la dipartita della nostra vecchietta. Per lui e per noi era impensabile vivere senza un micio a gironzolare per casa. Fu così che si imbattè nella casina dei Cassiopei. Lo colpì in particolar modo un gatto non troppo cucciolo ma dallo sguardo dolce. Decidemmo che lo avremmo chiamato Zero in segno di un nuovo inizio (“Si riparte da zero”) e perché a me è sempre piaciuto pensare che lo zero è il numero più importante di tutti sebbene spesso venga sottovalutato: di fatto precede tutti gli altri numeri!! Così Zero arrivò nella nostra casa. All’inizio non fu facile: scappava e, più che stare con noi, tornava la sera per mangiare lasciandoci preoccupati per la sua sorte durante tutta la giornata. Con il trasferimento nella casa nuova e l’arrivo di Albi, Zero ci ha mostrato quel lato dolcissimo coccolone e casalingo che, forse, anche inconsapevolmente, mio marito aveva intravisto il giorno della prima visita alla casina dei cassiopei. Oggi, ogni giorno, rinnoviamo e gioiamo della scelta fatta: i Cassiopei ci hanno dato l’opportunità davvero di ripartire da e con zero!!

Cristina Rigacci

Psicologa e psicoterapeuta

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