Nel giorno di San Valentino, vogliamo celebrare ogni tipo di amore. Parliamo dunque di qualcosa che, a noi senesi, e’ estremamente caro.
Il 17 gennaio abbiamo festeggiato Sant’Antonio Abate protettore degli animali. A “freddo” alcune considerazioni di duplice natura possono essere motivi di riflessione.
A Siena questa ricorrenza si lega ad uno dei tanti riti connessi al Palio: la benedizione delle stalle. Se penso a ciò ma soprattutto al fatto che, oltre alla benedizione delle stalle, il Palio è fatto di riti mi sovviene subito una riflessione condivisa non troppo tempo fa.
L’idea (Crocetti, 2023) è che questa nostra cultura paliesca possa essere assimilabile ad una religione (che si caratterizza proprio per una sua ritualità intrinseca e peculiare che resiste anche agli urti del tempo). Detto altrimenti, se si parte dall’idea di religione come insieme di riti, la nostra “senesità” appare una cultura che diventa religione e, nel suo essere profana, si lega comunque al sacro. E cosa c’è di più sacro della benedizione cioè di quella formula rituale con cui il sacerdote (o comunque un ministro di Dio) invoca la protezione e la grazia di una divinità? Quindi, tornando allo specifico della benedizione delle stalle di una Contrada, questa che, a tanti occhi può apparire paradossale per i senesi non lo è affatto. Infatti, la stalla, come ogni luogo che fa parte della Contrada, non è solo un “luogo fisico” ma anche quello che viene sentito come un “luogo dell’anima” e va a connotarsi di aspetti legati all’appartenenza a quella determinata Contrada e alla tradizione richiamando un investimento sul fuori diverso da quello che si può avere in famiglia, a scuola o in altre attività (Cigoli, 1997).
Inoltre, la stalla è “la casa del cavallo” il vero protagonista del Palio quello che ha e riceve le maggiori cure da parte dei contradaioli. Una cura non da poco come quella che serve per la gestione degli istinti e delle pulsioni che sono alcuni degli aspetti il cui simbolismo di questo animale sottende (Ibidem, 1997; Crocetti, 2011).
Tra l’altro il rito della benedizione della stalla è stato canonizzato in epoca relativamente recente perché risale al 1967 e viene inserito ufficialmente nel rituale liturgico contradaiolo da monsignor Castellano. In questi anni si istituzionalizzano molti “appuntamenti” che si svolgevano già in precedenza (ad esempio la messa del fantino) dato che la vita di Contrada è fatta di tradizioni e consuetudini però, in questi anni, iniziano ad avere delle scadenze fissate e, appunto, canonizzate.
Questo ha anche una motivazione socio culturale perché questi sono gli anni in cui il centro storico si svuota dei suoi abitanti “tradizionali” che si trasferiscono nei nuovi quartieri: Petriccio, Vico Alto, San Prospero, Acquacalda.
Il centro storico, dunque, muta la sua compagine e tale cambiamento demografico è importante; si sente la necessità di canonizzare delle “liturgie” anche per timore, forse, che la stessa vita di contrada possa avere delle ripercussioni negative e degli “allentamenti” da parte di chi non risiede più nel rione ( e poi di chi non vi nascerà).
Ed allora la benedizione della stalla, come molte altre “scadenze contradaiole” (non dimentichiamo che è del 1968 l’istituzione anche della “fine” e “inizio” dell’anno contradaiolo al 1°dicembre) sono pensate proprio come appuntamenti fissi di ritrovo e di aggregazione con i quali “richiamare” anche chi è andato a vivere fuori. Al tempo si temeva ce ne fosse bisogno.
Cristina Rigacci e Maura Martellucci
foto di Catia Prosperi