Il 25 aprile nel suo significato può assumere tante declinazioni: di memoria, ricordo ma anche di attualità.
Questo 25 aprile, per questo, ha un sapore in parte diverso. Possiamo far finta di niente ma se guardiamo davvero intorno a noi vediamo nuvole nere che si addensano in vari orizzonti. E se non la decliniamo all’oggi (generale e personale) mi chiedo se (e per chi) questa giornata ha ancora un senso, un valore, se rappresenta ancora un ideale per il quale vivere. Oppure se è solo ricordo, o, peggio, retorica. Sarebbe ingiusto per loro che lottavano per una diversa libertà, una libertà sociale, un’uguaglianza, un nemico tangibile. Per loro che lottavano per un ideale nel quale credevano fermamente e questo è l’insegnamento più grande che, nel tempo, ho avuto l’impressione che dessimo un po’ per scontato. Quest’anno, più di altri, forse, sento le mie radici che affondano nella terra della campagna, quella che ha forgiato le mie famiglie di origine: una mezzadri, poveri, e in una di contadini, che se la passavano meglio, un pochino. Entrambe dovevano lavorare da buio a buio nei campi per vivere eppure quando hanno dovuto abbandonare la zappa per andare a difendere ciò in cui credevano fermamente lo hanno fatto. Lasciando tutto. Conservo questo fazzoletto logoro e lacerato con orgoglio perché, oggi più che mai, mi ricorda che la libertà, ogni tipo di libertà (che sia ideale, fisica, psicologica) è il bene più prezioso che abbiamo e il regalo più grande che potessero farci.