Nei precedenti 2 martedì, presso l’Accademia senese degli Intronati, si sono svolti i due incontri del percorso “Severamente vietato agli adulti”.
La cifra unificante è stata “come far interessare i bambini”. Come farli interessare a due tematiche che non sono (per ragioni del tutto diverse l’una dall’altra) facili da far entrare nel bagaglio di attenzione dei più giovani.
La storia è vista come un’astrusa e astratta sequenza di date e nomi; l’architettura tende a passare del tutto inosservata, “banalizzata” nella quotidianità dello scenario urbano nel quale ci si muove.
Le due serate dell’Officina hanno cercato di fare il punto proprio su queste due criticità per suggerire metodi e proposte di approccio diverse dall’ordinario.
La storia non è solo una snocciolatura di date di battaglie, paci, trattai, né una incomprensibile lapide funeraria di re, imperatori, papi, condottieri.
In qualche caso si è fatto capire ai bambini che nella storia ci sono, oltre ai Grandi, anche i Marginali. Benissimo, ma a tutto questo (perché tutto questo fa parte del contenuto della storia, sia ben chiaro) si deve “arrivare”; non se ne deve partire. Come? Col gioco di ruolo, con la simulazione, con la fantasia. Con la volontà di far capire che non esiste “la storia”, ma che esistono “tante storie” per quante culture ci sono (e ci sono state) al mondo. Non solo perché ogni cultura “scrive” la storia a suo modo (questo è ovvio), ma perché la “pensa” a suo modo (e questo è più complesso da far capire ai bambini).
E l’architettura? Arriva il momento, come è stato detto, in cui l’osservazione di ciò che abbiamo intorno subisce la “rottura”, in cui non si “guarda” più ciò entro cui ci si muove, ma lo si considera un’usualità.
La serata coordinata da Marina Gennari, con il ventaglio di esperienze fatte in vari laboratori senesi, ma anche di altre realtà, ha mostrato che, anche in questo caso, gioco, fantasia, esplicitazione della percezione che il bambino ha con l’ambiente che lo circonda possono ritardare o proprio annullare la fase della “rottura”. Immaginando il contesto urbano che si vorrebbe; facendo lavorare i bambin (laboratorio pratese) di oltre dieci etnie diverse ma di una stessa classe elementare su concetti come “sedia” per esplicitare tutto quello che ciascuno di essi, in base alla sua cultura, connette con questo lemma e questo oggetto.
O magari facendoli passeggiare sui luoghi descritti da Tozzi per un dare loro il riscontro del nesso pagina scritta-paesaggio e architettura reali.
Io ero presente al primo dei due incontri e, per come l’ho vissuto, è stato un qualcosa di emozionante e “rivoluzionario”. Un gruppo di pensatori a condividere idee con in sottofondo il piacevole chiacchiericcio dei bambini intenti a partecipare ad un laboratorio appositamente organizzato per loro. A tratti ho pensato di essere o vivere in un sogno. Perché? Il racconto delle esperienze didattiche inerenti l’insegnamento della storia ai bambini mi sono apparse davvero essere esperienze costruite a misura di bambino e che potessero raggiungerlo – come vorrebbe la buona prassi psicopedagogica (Rizzardi e Tognazzi, 2023) – là dove lui è: nel suo tempo e nel suo spazio.
Quindi, date queste caratteristiche, esperienze davvero in grado di favorire quella condizione, a me tanto cara, di benessere bambino (Crocetti, 2008). Ovvero «quella condizione psicofisica orientata al gioco, al godimento, alla “ricreazione” costante del sé e del proprio essere nel mondo; uno stato esperienziale che il bambino incontra quando i suoi bisogni, le sue richieste e le sue fragilità sono assunte nella mente degli adulti preposti al suo accudimento» (Crocetti, 2012; p.11).
Inoltre, un sogno perché, a posteriori, mi è apparsa un’esperienza interculturale, Infatti, ho potuto vedere che certe esperienze di didattica della storia a misura di bambino vengono portate avanti sia nella nostra città che in altre realtà italiane. Tutto ciò con intelligenza ma soprattutto in modo creativo e noi sappiamo che solo nell’atto creativo si ha la possibilità di fare esperienza della propria personalità in toto entrando in contatto con il nostro vero sé (Winnicott, 1973). Per me, e non solo, è stata anche l’opportunità per ribadire la necessita di una didattica che, nel favorire lo sviluppo dell’identità individuale, del minore non può trascendere dai contesti a cui appartiene. Infatti, l’appartenenza è un valore imprescindibile dell’esistenza umana che, come spiega De Rose (2003), descrive un sentimento identitario che sottende sia un processo di identificazione e di interscambio del singolo con la collettività (relazioni di appartenenza) sia quel bisogno fondamentale dell’uomo di avere legami di tipo affettivo ed emotivo.
“E ti diranno parole rosse come il sangue, nere come la notte
Ma non è vero, ragazzo, che la ragione sta sempre col più forte
Io conosco poeti che spostano i fiumi con il pensiero
E naviganti infiniti che sanno parlare con il cielo
Chiudi gli occhi, ragazzo, e credi solo a quel che vedi dentro
Stringi i pugni, ragazzo, non lasciargliela vinta neanche un momento
Copri l’amore, ragazzo ma non nasconderlo sotto il mantello
A volte passa qualcuno, a volte c’è qualcuno che deve vederlo
[….]”
(Roberto Vecchioni – “Sogna ragazzo sogna”)
Maura Martellucci e Cristina Rigacci