In questo periodo sto facendo una serie di riflessioni personali su quello che vuol dire diventare vecchio ed avviarsi, con serenità ma anche con sincerità, verso un’altra stagione della vita

Molti non ameranno questo discorso, forse un po’ prigionieri di una visione giovanilistica che non permette a volte di vivere fino in fondo certe impressioni o le relega in un sottofondo scomodo, un po’ come quelle cantine piene di cianfrusaglie in cui non mettere mai le mani.

Una prima riflessione gira intorno alla parola ruolo. Che la vecchiaia voglia dire perdere o spogliarsi di ruoli è un pensiero certo non nuovo e quasi banale, ma che trova una diversa consistenza e verità nel momento in cui ti trovi a viverlo direttamente.

Ruolo. La parola è così definita dal vocabolario Treccani: la parte, la funzione, il peso di qualcuno o di qualcosa nell’attuarsi di un fatto o di una situazione. La prima definizione che il vocabolario cita fa pensare al gergo teatrale: parte, interpretazione di un ruolo che non si identifica con l’essere umano che lo sostiene (a volte magari, sì) ma che è necessario affinché l’umana commedia si svolga fino in fondo.

Vorrei provare a fare una specie di inventario dei ruoli avuti e persi o perlomeno cambiati.

Nella vita familiare: spariti da tempo i ruoli di figlio, nipote ed altri, ho dovuto rinunciare da poco alla parte di marito.

Quel ruolo, infatti, per me non esiste più, rimane certo il ricordo di un rapporto buono e il dovere di custodire quelle memorie, ma il ruolo è perso.

Quello di padre, avendo delle figlie che sono tutte ormai grandi ed avviate nella vita, è un ruolo certo non secondario, ma quasi onorifico: stare a vedere, ascoltare molto, intromettersi poco, lasciare che ognuna sviluppi i propri pensieri e viva le proprie esperienze, certamente intervenire se ci fosse un’emergenza (sperando di no), ma insomma è un ruolo quasi presidenziale, poco di “peso” come dice il vocabolario.

Non parliamo poi del ruolo di nonno che è ancora più “onorifico” di quello precedente e che conta come un esempio, ma non molto di più, un ruolo che forse nel migliore dei casi sarà valutato e riscoperto quando non ci sarò più.

Passiamo agli aspetti della vita professionale. Qui il non avere più un ruolo pubblico (sia pur piccolo come quello che ho avuto), veramente a volte ti mette all’angolo.

Ho fatto il medico, ma adesso se vado in ospedale o in altri ambienti sanitari dove ho vissuto tanta parte della vita, nessuno più mi riconosce, io non conosco più nessuno e vengo così ridotto a numero, degno di rispetto, (magari non sempre) ma comunque un po’ anonimo.

D’altro canto, ancora più odioso e inutile sarebbe vociare in modo arrogante dicendo “lei non sa chi sono io”, oppure attaccare con la solfa dei ricordi a chi sta lavorando e cercando di fare svelto.

Ma la diminuzione è data anche dall’essere davvero obsoleto in alcune cose. Ho studiato bene, mi sono laureato con 110 e lode, poi ho fatto il medico ma adesso tutto è diverso, sia dal punto di vista scientifico che dottrinale, perfino gli esami del corso di laurea non hanno più gli stessi nomi!

Colpa tua! – qualcuno giustamente dirà – ti potevi aggiornare e questo non sarebbe successo.

Vero, ma ecco che questa riflessione sulla perdita delle maschere arriva a scoprire la carne viva.

Parlo per me naturalmente, ma il fatto è che nessuna maschera mi si è incollata addosso così tanto da fondersi con la mia vera carne e quindi quando è finita la necessità, è finito o diminuito anche l’interesse.

Così quello che prima era il mio volto cambia e diventa più povero.
La stessa cosa mi è successa per la mia specialità (la Psichiatria) di cui conosco poco le ultime acquisizioni.

Insomma, nella mia vita professionale io sono stato psichiatra, psicoterapeuta, poi una serie di altre cose, per esempio sono stato un cooperatore sociale, ma adesso lentamente queste maschere si stanno disgregando un po’ e lasciano il posto a cosa?

Questo è il tema più difficile da approfondire. Il non avere più ruoli o funzioni da svolgere permette forse l’emergere della mia vera faccia, magari priva di tratti riconoscibili prima di tutto a me stesso, pertanto anonima e irriconoscibile.

Dopo un iniziale sollievo dall’essere alleggerito dai pesi, poi subentra in qualche momento l’angoscia di non sapere più chi si è.

È sorprendente come questo somigli alle dinamiche dell’adolescenza, ma con una profonda differenza: è come se il film improvvisamente andasse all’indietro.

Cerco di spiegarmi: quando sei adolescente e lasci il mondo bambino in cui sei cresciuto, devi acquisire ruoli per poter dire soprattutto a te stesso: ecco io sono uno sportivo, uno studente, poi il medico, lo psichiatra, lo psicoterapeuta, il marito, il padre e così via, collezionando ruoli come pezzi che tengono insieme la tua identità.

E così puoi andare verso la vita con una certa sicurezza.
Adesso è il tempo di lasciare tutti questi ausili e ritrovarsi spogliato del luccichio precedente (si fa per dire!) per andare verso dove?

Verso un futuro corto e verso la fine che ti troverà chissà come.

Nella curva gaussiana della vita il colmo è già passato e tutto scende verso la piattezza della fine.

Andrea Friscelli 

Sienasociale.it ospita con estremo piacere le riflessioni del dottor Friscelli che ringraziamo per la disponibilità. Andrea Friscelli, psichiatra e psicoterapeuta ha lavorato per molti anni nel servizio di Psichiatria della locale ASL, è tuttora attivo anche nel Terzo Settore cittadino come fondatore della cooperativa sociale La Proposta (Orto de’ Pecci) di cui è stato per lunghi anni il presidente. Negli ultimi anni ha pubblicato alcuni libri e si dedica alla riflessione sui fatti felici o dolorosi della vita.

Iscriviti alla nostra newsletter per rimanere aggiornato sulle attività delle Associazioni del Territorio Senese

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi