Premetto al secondo pezzo sul tema dell’invecchiare una considerazione forse superflua e che dirò adesso senza ripetermi ancora.
Tutto quello che ho detto e che dirò in questa seconda puntata riguarda me ed è parametrato sulla mia esperienza. Sono arcisicuro che esistono altri modi, del tutto diversi e forse opposti al mio, di vedere le cose, così come esistono mille modi diversi di vivere la vita.
Detto questo torno a immergermi nelle mie riflessioni.
L’altra volta ho parlato della perdita dei “ruoli” e di come lasciarli abbia implicato qualche aggiustamento, ma è impossibile affrontare il tema dell’invecchiamento senza toccare quello del corpo e del mutato rapporto con esso. Il cui sviluppo, in sintesi, potrei descrivere così: da risorsa a mina vagante.
Prima, infatti, il fisico rappresentava una risorsa che non solo non ti ostacolava ma era qualcosa invece che ti sosteneva nelle fatiche quotidiane, contribuendo a dare fiducia e buon umore.
Il corpo rappresentava uno strumento di conoscenza del mondo ed era facile sopportarne le rare défaillances.
Al turning point della vecchiaia invece, certo non per tutti, più o meno lentamente si trasforma in una sorta di sabotatore interno, vera e propria mina vagante pronta a colpirti a sorpresa, nel fisico e nella mente.
Adesso infatti le difficoltà sono inevitabilmente diventate più frequenti ma soprattutto instillano dentro paure e sfiducia. È una situazione che favorisce l’approdo ad un atteggiamento di tipo ipocondriaco che teme e ama allo stesso tempo l’ascolto del proprio corpo, sempre alla ricerca di qualche rumore sospetto che diventa sempre il sottofondo della fine, della morte.
Tutto ciò finisce per cambiare anche la visione del mondo circostante, diventato un po’ ostile e difficile da “utilizzare”.
Forse è questo il motivo per cui noto dentro di me anche una più sottile ed intima differenza: com’è – mi chiedo – che solo qualche anno fa nel contesto delle persone che mi capitava di incontrare mi identificavo sempre in quello giovane e adesso invece mi sembra sempre di essere il vecchio debole e fragile, che ha bisogno di aiuto?
Faccio un esempio: se immaginavo fino a qualche anno fa un incidente, un infortunio, io mi vedevo tra quelli che soccorrevano e dava una mano ad aiutare, adesso nella fantasia sono io quello da aiutare, con in più la esile sensazione di poter essere un ingombro, un peso per gli altri.
Ho come l’impressione di essermi fatto prendere la mano dai pensieri pessimistici ed un po’ melanconici e sento quasi la necessità di correggere almeno il tiro del mio scrivere. Sembra sennò che non si possa vivere senza ruoli o senza un “corpo macchina” oliato e, come si dice oggi con una brutta parola, performante e questo non è vero.
Non si può vivere – semmai – senza avere rapporti con gli altri.
Vista così anche la mia “vocazione” per la professione che ho svolto, aldilà del ruolo che mi ha portato a ricoprire, è una delle verità che resiste e cioè l’interesse per il contatto con l’umano, l’interesse per le storie e per i pensieri delle persone.
In questo tempo che rimane ci sono poi tante cose che possono aiutare: i ricordi, l’osservare i giovani che crescono, il fare nuove conoscenze, trovare qualche nuova passione.
Se, parlo per me, forse è calata un po’ la passione per lo sport, tanto che non ho più, per esempio, lo stesso slancio che avevo prima per il calcio e per la Robur in particolare, ma ho acquistato l’interesse per lo scrivere ed il riflettere sulla vita vissuta e tutto questo può esser fatto senza alcun vincolo, senza il “dovere” di puntare per forza al successo, ma solo seguendo l’estro del momento.
L’aspettare, e qui faccio a me stesso degli auguri, sarà all’insegna di uno sguardo disincantato ma ancora interessato verso il mondo, certamente depurato delle ansie della gioventù e forse incline, in qualche momento, anche all’allegria che ricorda quella che da piccoli ci faceva ridere per un nonnulla.
Essere meno seriosi, più “leggeri”, che bellezza!
Se la vita è stata una recita dove ho interpretato vari ruoli che si portavano dietro la necessità di essere almeno dignitoso nell’interpretazione, adesso posso essere come sono davvero, con la speranza finale di riconoscermi almeno qualche caratteristica autentica.
per saperne di più
“Diventare vecchio ed avviarsi, con serenità e sincerità, verso un’altra stagione della vita”