Uno spazio tutto per noi all’ora del te’: presso la libreria “Rebecca” la scrittrice senese Elisa Mariotti ha presentato il suo ultimo libro.
Abbiamo fatto delle domande alla scrittrice per approfondire i motivi delle sue scelte narrative: perché proprio queste tre protagoniste? Che ruolo ha avuto il diario personale nella vita e nell’attività di scrittura di Virginia, Sibilla e Colette?
Virginia, Sibilla e Colette non sono nomi di fantasia e sicuramente ci risuonano nella mente, anzi rimbombano: rispettivamente la Woolf inglese, la Aleramo italiana e la francese Colette (cognome usato come pseudonimo) sono le tre celebri donne della letteratura europea di fine Ottocento e inizio Novecento.
La scrittrice Elisa Mariotti, nel suo romanzo intitolato Donne e parole – Virginia, Sibilla e Colette tra sogno e realtà, primamedia editore, le fa incontrare organizzando per loro un appuntamento tutto al femminile nel cuore pulsante di Siena, in un bar di Piazza del Campo.
Siena è la città natale dell’autrice e dunque simboleggia il luogo reale dove avviene la materializzazione di un sogno reso possibile dalla scrittura: tre grandi donne si incontrano per passare un pomeriggio insieme, durante il quale conversano della loro vita tra un’ordinazione e l’altra.
Il romanzo è un sogno in cui prendono vita, anzi ri-prendono vita, tre donne realmente esistite e che hanno lasciato un segno nella storia letteraria europea; si dice che i sogni siano dei desideri, pertanto l’autrice ha riportato il suo, conferendogli una struttura romanzesca e narrativa coerente e ben organizzata.
– Qual è la lettera che preferisci? Le chiedo, rimanendo fedele all’impostazione che ha dato al romanzo, il quale procede seguendo l’ordine alfabetico.
Virginia, Sibilla e Colette, infatti, guidate da una quarta donna che è la voce narrante della storia, fanno un gioco: per ogni lettera dell’alfabeto scelgono una parola-chiave, attraverso la quale si scambiano, appassionate, aneddoti di vita, e quasi ci pare di sentire la loro voce.
Tre vite non comuni, anticonformiste, sofferte, talvolta di riscatto, animate da spirito di rivalsa, talvolta segnate da epiloghi drammatici, ma tutte assolutamente rivoluzionarie.
– Non c’è una lettera che preferisco. Ci sono, tuttavia, delle parole importanti e pregne di significato, anche quelle che sembrano piuttosto comuni, come ad esempio la parola “fiori”.
Rincalzo, e voglio sapere come si è svolto il lavoro preparatorio al romanzo: – Per svolgere lo studio propedeutico alla tua opera, hai avuto una stanza tutta per te? Chiedo, citando la sua amata Virginia Woolf.
– No, non l’ho avuta, ma me la sono dovuta creare metaforicamente sia dentro che fuori di me. Per delle ore sparivo e avvisavo il mondo che, pure cascasse, io non c’ero. Ero con Virginia, Sibilla e Colette: approfondivo la loro vita, svolgevo ricerche bibliografiche sia di tipo biografico che di critica letteraria. Purtroppo capita che la scuola non sia bastata a farci conoscere queste donne, poiché le programmazioni viaggiano su binari noti e sempre uguali, spesso ricalcando un canone di letterati tutti uomini.
Le tre donne invece hanno dato un contributo notevole alla letteratura, lasciando un segno profondo: hanno restituito consapevolezza al mondo femminile, hanno piantato dei semi dai quali sono germogliate delle opere straordinarie, hanno combattuto per restituire dignità alla figura della donna affinché potesse scrivere anche lei, come l’uomo, senza finire per essere per forza censurata, violata, plagiata o dimenticata.
Virginia, Sibilla e Colette nella loro diversità, si assomigliano nell’aver lottato contro una società radicalmente maschilista.
Inoltre, tutte e tre sono accomunate dall’aver posseduto un diario, anche se utilizzato in modo diverso: il loro personale spazio sicuro dove annotare dolori, fragilità, delusioni amorose, crisi nervose, malinconie derivanti da violenze subite, desideri di riscatto e sogni.
Per il lettore invece questi diari rappresentano non solo l’opportunità di entrare in contatto con la vita intima di queste donne, ma sono anche l’accesso al retroscena privato della loro opera e della loro vita.
L’autrice ci spiega che i diari di Sibilla Aleramo, nello specifico quelli dal 1945 al 1960, sono per esempio stati scritti già con l’intenzione di essere pubblicati (stipulò, infatti, ancora in vita, un contratto con Feltrinelli), mentre quelli di Virginia Woolf – Elisa ce lo dice con gli occhi che si illuminano – , sono stati utilizzati come dei veri e propri luoghi di sfogo, che ci rendono testimoni della sua vita quotidiana, con gli alti e i bassi, e parlano della fatica di diventare scrittrice, delle sue fragilità ed anche, purtroppo, della sua depressione. Colette, delle tre, è quella che aveva meno dimestichezza con questo tipo di scrittura alla quale, chissà perché, ha ceduto soltanto quando ha sentito la morte avvicinarsi.
Non mi lascio sfuggire il tema della scrittura diaristica, così colgo subito l’occasione per chiedere ad Elisa: – Che rapporto ha la letteratura con la scrittura intima del diario?
– Anche io conservo un diario. Come la Woolf, l’ho usato e lo uso per prendere nota delle cose che mi accadono. Il diario è, in più, anche un esercizio di scrittura, un allenamento costante che si può fare quotidianamente, anche mezz’ora al giorno, tenendo al sicuro determinate osservazioni, ricordi, sogni. La Woolf scriveva che il diario serve a “sciogliere le giunture”: anche io la vedo così.
– Cosa succederebbe se un diario personale venisse trovato e letto da una persona esterna?
– Bella domanda, mi risponde, sorridendo.
Beh, non dovrebbe succedere. Virginia, Sibilla e Colette hanno dovuto lottare per difendere la loro libertà e, qualcuna di loro, ha sofferto dell’ingerenza di uomini invadenti e spesso prepotenti nella loro attività di scrittrici.
A questo proposito, Martina, la proprietaria della libreria “Rebecca” dove ci troviamo, ricorda con grande amarezza che anche il marito di Sylvia Plath, nota poetessa e scrittrice statunitense (1932-1963), le ha fatto sparire il diario e lo ha censurato.
Il tè si è ormai raffreddato e molti dei biscotti sono rimasti sul tavolino: ci siamo riscaldati e nutriti grazie all’emozionante e intensa conversazione letteraria di questo pomeriggio.
Tutti i pomeriggi della domenica dovrebbero essere così, pensa ciascuno di noi allo stesso momento.
Faccio un’ultima domanda a ciascuno, prima di lasciarci. – Qual è il vostro libro preferito?
Non è facile rispondere, ma ci proviamo. Elisa nomina un’altra donna famosa, questa volta però narrata da un autore maschile: Anna Karenina di Lev Tolstoj; io e Martina conveniamo nel citare un altro celebre scrittore russo: Dostoevskyij con Delitto e castigo, poi aggiunge un altro titolo che le sta a cuore: L’anno del pensiero magico di Joan Didion; Alfredo ci segnala Come funziona la musica di David Byrne; il signor Massimo Marcucci, appassionato di romanzi gialli e autore lui stesso di un giallo dal titolo Incubo anch’esso ambientato a Siena, riferisce Il nome della rosa di Umberto Eco; sua moglie, la signora Nicoletta, ci confida di essere una lettrice accanita, perciò di non saper trovare, su due gambe, un unico libro che preferisce, ma cita Edgar Allan Poe e Il pendolo di Foucault.
A questo punto, dopo aver rammentato grandi personalità della letteratura, ci sentiamo al sicuro, eccitati e felici come dei bambini.
Le pagine dei libri della libreria “Rebecca” hanno custodito ed ispirato i nostri discorsi; attraverso di essi, è stato come se le anime di Virginia, Sibilla e Colette fossero davvero in mezzo a noi.
Ilaria Miriam Mennuni