In questa nostra bella e amata città, ormai da mesi, purtroppo, stiamo assistendo al perdurare di una problematica importante che ha a che fare con il lavoro.

A cosa mi riferisco? Ai molti lavoratori della Beko che stanno seriamente rischiando il posto di lavoro e che, nonostante il loro impegno (da soli o con le istituzioni predisposte), ancora non sanno se e come potrà continuare il loro futuro lavorativo. E loro non sono neppure i soli. Basti pensare a quanto sta accadendo ad altre realtà industriali e lavorative.

Non entro nel merito del dibattito socio-politico o economico-giuridico perché, oltre che non essere mia materia, ad essere sincera mi nausea pure un po’.

Del resto, io non posso che non pensare alle persone. Si proprio loro: quelle che adesso vivono nell’incertezza, nella precarietà di un qualcosa che, oltre ad impattare sulle loro finanze economiche (che di per se non è comunque poco!), parla di loro e delle loro vite, del loro essere persone giustamente preoccupate e, molto probabilmente, in una condizione fortemente stressante.

Del resto è noto, anche ormai da molto tempo, che il lavoro rappresenta una dimensione fondamentale per la vita dell’essere umano, andando ben oltre il mero aspetto economico in quanto contribuisce in modo decisivo alla formazione dell’identità personale e sociale, offrendo un contesto in cui l’individuo può esprimersi, crescere e trovare un senso di appartenenza (Maslow, 1943, 1954).

In termini psicologici, l’impegno lavorativo va a rafforzare significativamente il senso della vita diventando un veicolo per dare significato all’esistenza, soprattutto in momenti di crisi o difficoltà esistenziali (Frankl, 1962).

Tutto ciò perché, proprio il lavoro, soddisfa bisogni primari come la sicurezza e, allo stesso tempo, quelli più elevati, quali l’autorealizzazione e la stima di sé (Herzberg, 1959; Deci & Ryan, 1985). E se questo non fosse già abbastanza, un autore illustre nel panorama della psicologia del lavoro – quale Erikson – nel 1950, pose l’accento proprio sul ruolo del lavoro nella costruzione dell’identità, sottolineando come le esperienze professionali contribuiscano alla formazione del sé e alla definizione della propria storia personale configurandosi non solo come un mezzo per ottenere un sostentamento materiale, ma anche come un pilastro fondamentale per il benessere emotivo, sociale e per la crescita personale dell’individuo (Csikszentmihalyi, 1990).

Infine, quindi cosa aggiungere? Nulla se non una preghiera/cortesia – almeno per quello che mi riguarda – a ricordarci tutti che se si parla dei lavoratori Beko o di aziende in crisi si parla in primis dei loro lavoratori quindi di persone e, pertanto, forse, in gioco ci sono ben più cose di quelle che possiamo vedere ad un primo sguardo.

«Rimango ottimista. Non che io possa fornire qualsiasi evidenza del fatto che il bene vincerà, ma per via della mia fiducia incrollabile nel fatto che il bene deve vincere, alla fine»
(Mahatma Gandhi)

Cristina Rigacci

Psicologo e Psicoterapeuta. Studiosa di dinamiche psicologiche sottese ad una genitorialità difficile o resa tale per la presenza di un figlio che soffre a causa di una malattia o disturbo, ha lavorato per anni con le associazioni senesi “Sesto Senso” e “Asedo” per facilitare l’integrazione di alunni con disabilità e favorire esperienze di autonomia (housing) per un piccolo gruppo di ragazzi Down. E’ tra i soci fondatori di Codini & Occhiali. 

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