Qualche mese fa ho perduto mia moglie dopo una lunga malattia. Ho scritto mia moglie, ma forse avrei dovuto dire la mia compagna di vita, una vita che abbiamo trascorso insieme dai tempi del liceo, percorrendo gli stessi studi, lavorando insieme, vivendo insieme e tanto altro. Per me è stata una perdita enorme e molto dolorosa, un dolore che è tutt’ora presente dentro di me, ma che sento via via attutirsi attraverso il “lavoro del lutto”. È questa un’espressione che tutti conosciamo, che tutti usano a volte anche senza conoscerne in pieno il significato. Pubblico oggi il mio terzo intervento su Sienasociale.it
In “Così parlò Zarathustra” c’è forse un esempio quasi paradigmatico di come un lutto può progredire in tutto il suo percorso. Non è francamente uno dei pezzi più conosciuti del libro e riguarda l’occasione in cui Zarathustra osserva le evoluzioni del funambolo che poi cade e muore. Ne rimane molto colpito e per un po’ sta lì a vegliarlo. Poi si carica il cadavere sulle spalle perché non riesce a lasciarlo solo e comincia un cammino nel bosco. Ma il peso è superiore alle sue forze e dopo un certo tempo capisce che deve, sia pure con dolore, seppellire l’amico e continuare il suo cammino. E così si ferma e cerca intorno a sé dove poter seppellire quel corpo. Qui c’è un colpo di genio poetico di Nietzsche che fa seppellire il funambolo all’interno di un albero cavo, dove saranno possibili scambi tra il passato del morto ed il presente di un albero ancora vivo.
Fuor di metafora, dopo il tentativo di non abbandonare quel corpo, prevale la ragione di doverlo lasciare e dargli una sepoltura degna. Inoltre, il racconto, dal sapore quasi di una parabola, sancisce il fatto che la vera sepoltura, aldilà di quella che avviene a poche ore dalla morte, può avvenire solo al compimento del lavoro del lutto, quando siamo ormai in grado di lasciare soprattutto mentalmente la persona cara. Come fa Zarathustra che dopo averne sopportato il peso sulle spalle, sente che lo deve lasciare e seppellire.
Sono debitore di questo esempio al bel libro di Massimo Recalcati “La luce delle stelle morte” che l’autore dedica ai temi del lutto, della melanconia, della nostalgia.
Sono questi i temi che trovano nella riflessione di Recalcati una dignità dal sapore quasi etico. Spesso ho avuto l’impressione che questo mio scrivere intorno al lutto di mia moglie possa essere scambiato per un piagnisteo noioso e inconcludente. In fondo l’esperienza della morte di una persona cara è qualcosa di molto frequente nel mondo e nella vita delle persone ed allora perché insistere tanto per un fenomeno che ha le caratteristiche della naturalità?
Ma analizzare l’andamento dei pensieri, anche di questi particolarmente drammatici e tinti di nero è uno sforzo che va fatto non solo per fissare parametri, tempi e modi, attraverso una modalità di osservazione quasi scientifica, ma soprattutto per capire come riorientare quella vita che ci resta verso… la vita, scusandomi per il bisticcio di parole.
Un’altra potente immagine che Recalcati ci dà in tal senso è quella che è già presente nel titolo. Sappiamo che la luce di alcune stelle che osserviamo ci giunge da spazi lontanissimi e proviene da astri che ormai sono morti. La sfasatura dei tempi ci permette cioè di apprezzare ancora il loro brillare anche se non ci sono più. Mai metafora fu più azzeccata per quello che succede con la sopravvivenza interiore dei nostri cari: non ci sono più ma dal loro ricordo diffonde ancora una moltitudine di cose che ci raggiunge e ci consola nella solitudine che viviamo. E che forse finisce per influenzare anche il nostro presente. Si raggiunge così l’effetto straordinario che passato e presente, morte e vita si mischiano e si influenzano molto più di quanto si possa pensare.
Per essere ancora più chiaro Recalcati dice che anche le opere d’arte sono esempi di luce che proviene da un passato a volte lontanissimo. Insomma, come si potrebbe dire, da un’assenza che si rende in qualche modo ancora presente, non attraverso un rimpianto regressivo, piuttosto una visitazione inattesa che ci cambia, ottenendo il risultato di non farci voltare indietro ma invitandoci a guardare avanti.
Vorrei concludere queste brevi riflessioni con lo scarno ma intenso messaggio che un grande filosofo da poco scomparso ha lasciato come testamento ai suoi amici ed allievi.
Sono solo tre parole “portatemi con voi” che significano di non voler scomparire pur essendo già scomparso e continuare a vivere sia pure in un’altra forma.
Sì, Paola, ti porterò, ti porteremo, per quello che ci resta da vivere, sempre con noi!
Andrea Friscelli
Sienasociale.it ospita con estremo piacere le riflessioni del dottor Friscelli che ringraziamo per la disponibilità. Andrea Friscelli, psichiatra e psicoterapeuta ha lavorato per molti anni nel servizio di Psichiatria della locale ASL, è tuttora attivo anche nel Terzo Settore cittadino come fondatore della cooperativa sociale La Proposta (Orto de’ Pecci) di cui è stato per lunghi anni il presidente. Negli ultimi anni ha pubblicato alcuni libri e si dedica alla riflessione sui fatti felici o dolorosi della vita.
Per saperne di più
“Ho perso mia moglie. Mi impegno nel lavoro del lutto” la storia di Andrea – SIENASOCIALE
“Sentirsi colpevole senza colpa” Andrea e la pima fase del lutto – SIENASOCIALE