Raccogliere e cogliere le testimonianze, avendo cura di ogni minima sfumatura della voce e dello sguardo, è senz’altro un dovere nei confronti di chi affida alla nostra penna la propria storia, diciamo anche le proprie storie dell’anima.
La nostra voce ha chiesto l’anonimato e noi rispettiamo. Gli daremo un nome di fantasia, sarà Mario che nella XXVI Giornata Nazionale per la donazione di organi, tessuti e cellule racconta la scelta del dono.
Mario vive in un paese alle porte di Siena, ci incontriamo e prendiamo un caffè.
Gli chiedo se ha mai avuto modo di parlare di questa sua storia – “ poche volte – risponde – non ci sono mai tornato su con intenzionalità. Questa è un’occasione”
Ne siamo felici ed anche grati di averci destinato questa storia in pillole.
Quando la donazione entra nella tua vita?
“Quando viene a mancare mio padre, ma in realtà nella mia famiglia si è sempre apprezzato il gesto del dono. Ricordo le chiacchierate con i miei genitori nel commentare casi di cronaca o situazioni attinenti alla donazione. Siamo sempre stati favorevoli ed abbiamo sempre apprezzato le persone che facevano questa scelta. Il mi’ babbo – addirittura – con la sua consueta autoironia diceva che quando i suoi pezzi di ricambio non gli servono più, è giusto dare. E’ così fu.
Era l’estate del 2000, quasi tempo di saluti da vacanza, ed una mattina salutai babbo, come sempre, ma sapevo che l’avrei rivisto la mattina dopo, prima di partire per le vacanze, appunto. Non passò molto tempo che mi chiamarono a lavoro, babbo aveva avuto una emorragia cerebrale. Aveva 77 anni, era in buona salute.
All’ospedale Le Scotte dichiararono il coma, si spense, senza aver mai ripreso conoscenza, nel pomeriggio ed io e la mia mamma non abbiamo esitato, memori di quello che babbo aveva sempre detto. Incontrato il medico, abbiamo chiesto che cosa potessimo donare, che fosse in buono stato, chiaramente. Le cornee – ci fu detto – sicuramente le cornee. Devo essere sincero, avrei ancora tentato di salvarlo, nonostante l’evidente situazione. Ma la speranza, lo sai, è qualcosa a cui ci si attacca anche in modo inconsapevole, nella consapevolezza.
Era una domenica. Me la ricorderò tutta la vita.
Che cosa ti ha lasciato e come ti ha segnato “la scelta”?
“L’espianto delle cornee fu fatto subito. Dopo qualche tempo, la mia mamma ricevette una lettera di ringraziamento dall’allora Direttore Generale del Policlinico Le Scotte. Era una lettera molto sentita in cui ci ringraziavano e ci informavano che le cornee del babbo avevano dato la vista ad un paziente del Veneto, senza specificare altro.
Sono felice di aver esaudito, donando, il desiderio del babbo ed ho pensato più volte a chi ha ricevuto le cornee, mi sono immaginato i suoi occhi”.
Da genitore, in famiglia, nelle conversazioni quotidiane, hai avuto modo di trasferire con l’esempio l’educazione al dono?
“In questi 23 anni siamo ritornati sul ricordo e sulla narrazione dei momenti che ci hanno condotto al finale. Ed abbiamo cercato di portare ad esempio il gesto di babbo, del nonno. Credo che sia giunto il messaggio. In famiglia condividiamo tutti lo spirito del dono. E questo è già di per sé un dono di cui siamo grati. Siamo convinti che questo passi anche dal trasmettere valori come quelli della solidarietà. Sono vicino al mondo del volontariato ed anche se l’età media dei volontari è ancora piuttosto alta, sono convinto che siamo sulla strada dell’ampia partecipazione. C’è tanto entusiasmo. Voglio sottolineare – per la mia esperienza – l’importante sostegno e supporto dato dalle donne. Il loro contributo è davvero notevole”.
Saluto e ringrazio Mario, la sua voce è commossa e nei suoi occhi c’è parte della storia che ci ha raccontato.
Gli occhi sono una finestra e che sia sul mondo, che sia nel mondo di qualcuno, che sia oltre, rappresentano quel “sempre” di inevitabile memoria.
Qualcuno ha gli occhi di mio padre
Filomena Cataldo