Oggi ricorre la Festa della Liberazione dell’Italia dall’oppressione nazi-fascista. La redazione di Sienasociale.it augura a tutti buon 25 aprile con un ricordo e una storia condivisa con noi da Cristina Rigacci, psicoterapeuta. Comunque la crediate, festeggiate e festeggiate la storia!
“Dai cittina, vieni qua… che ti racconto una storia”.
Iniziava quasi sempre così ed era così più o meno ogni domenica, forse perché, anche se credo sapesse di avermi raccontato quella storia da sempre, per lui era importante farlo e per me pure. Il nostro momento di condivisione penso oggi. All’epoca ad essere onesta, oltre che per non disubbidire a mio nonno, erano più le 50 mila lire a seguire che mi beccavo a farmi gola!
Ma torniamo alla storia. Tutte le sue parole precise non le ricordo, il suo italiano era molto limitato ma per quello che mi ha insegnato, per l’uomo che è stato, per il valore della libertà che mi ha trasmesso, spero di fargli comunque onore e spero che il suo racconto possa echeggiare oggi, tra quelli di tanti, che come lui hanno scelto di voltare le spalle a quello che credevano fosse un’oppressore e di lottare per la loro libertà.
“Sai cittina – raccontava – io un ci sarei mai voluto andà ma non avevo avuto scelta e con l’esercito di Mussolini eramo a Torino in quei giorni. Però arrivò lo sbandamento (8 Settembre 1943) e allora si che erano guai. Venne un generale a diccelo e si capì che se si restava e gli americani ci trovavano ci avrebbero ucciso, andà via era davvero pericoloso. Pensa se i tedeschi lo avessero scoperto, se ci avessero presi. Io e il mio amico scegliemmo comunque di tornare a casa, c’era la tu’ nonna a aspettammi e io volevo fa’ famiglia. Certo un si sarebbe fatto un bel viaggio. Pensa da Torino a Sovicille a piedi ci volle un mese e tanti un ce l’hanno fatta. Te unn’hai conosciuto il nonno dell’amico di Roberto. Lui è morto di lì a poco. Sai s’andava pe’ i boschi, ci si nascondeva nelle chiese, i preti ci aiutavano ci davano un po’ d’aiuto ma unn’era bello. Quando s’arrivò a Siena (bestemmia di rito ndr), i tedeschi un’erano proprio da noi. Ci tocco aspettà ancora e di nuovo il prete di Rosia ci dette una mano. Io so’ stato fortunato, la tu nonna mi credeva morto e invece poi ho fatto tutto.”
“Nonno – più volte ho chiesto – ma ti chiamano Sghimme da allora?”. A questa domanda non ha mai risposto, mi piace pensare che sia così ma non lo so.
So che quando se ne è andato, nonostante fosse rimasto negli anni fedele ad un preciso ideale politico, ha voluto il funerale in Chiesa ed io c’ero. Non l’ho accompagnato al cimitero perché mi sono fatta una passeggiata in quelle campagne dove andò a riabbracciare mia nonna al ritorno dallo sbandamento. Dentro di me cantavo le sue canzoni (“Bella ciao” e “Fischia il vento“) e all’epoca come sempre, e come oggi, ringrazio lui e tutti quei “volontari per la libertà della patria” che, nel bene o nel male, nel giusto o nel torto (questo dipende da come uno la pensa politicamente) – in maniera più o meno eclatante o silenziosa (come faceva mio nonno che raccontava a pochi la sua storia), hanno comunque fatto parte di una storia ben più grande: quella dell’Italia!
Cristina Rigacci