Ieri, l’amica e coordinatrice della sezione di isola d’Arbia della Misericordia di Siena, Milena Ussia, ha postato su Facebook un ricordo, risalente ormai a tre anni fa, inerente ad alcuni campi gioco che organizzammo nel quartiere con la direzione della bravissima Anna Maria Marino, che seguì i bambini in questa avventura educativa.
Può sembrare un nonsenso parlare oggi di quell’evento, se non fosse che questo era il primo che riuscivamo a
fare dopo la tragedia del Covid, in un periodo in cui sembrava che potessimo tornare presto alla normalità, dal quale ricevemmo una bella lezione di vita e di speranza.
Purtroppo la pandemia si rifece virulenta per tutto l’inverno successivo rigettandoci nell’angoscia e nella
solitudine, in particolare proprio i bambini, che sono i protagonisti di questo piccolo racconto e che ci dettero l’opportunità, in quelle due settimane, di lavorare nuovamente insieme alimentando la fiducia che tutto potesse passare in breve tempo.
Al momento che pubblicizzammo gli spazi gioco avemmo subito adesioni; i bambini cui erano rivolti avevano bisogno di tornare a socializzare dopo il lockdown e le parziali
riaperture estive.
L’attività educativa proposta, anche in vista del rientro a scuola, aveva
come tema la geografia e l’esplorazione e fu recepita con entusiasmo, complice anche la grande professionalità di Anna Maria, capace di confezionare attività di gioco coinvolgenti e inclusive.
Raggiungemmo subito il numero massimo possibile, dati gli spazi a disposizione, e furono giorni veramente entusiasmanti per i bambini e anche per noi che li vedemmo rifioriti
e contenti.
All’inizio Anna Maria percepì immediatamente che il periodo in cui erano stati forzatamente isolati, li aveva provati, erano nervosi ma avevano voglia di tornare a condividere il gioco con i coetanei.
Man mano che i giorni passavano i piccoli si facevano più rilassati nonostante non potessero avvicinarsi del tutto per la prevenzione anticovid e
persistesse la necessità della mascherina per stare più tranquilli; per noi la paura che si innescasse un focolaio fu tanta ma riuscimmo ad arrivare in fondo grazie alla molta attenzione e un po’ di fortuna, appagati dalla riuscita delle attività.
Perché vale la pena ricordare tutto questo a distanza di tre anni? Perché a margine di un periodo difficile e nefasto il risultato fu importante: il gioco collettivo aveva scacciato via la
paura, affrontare tutti insieme le piccole grandi sfide quotidiane rinforzava la fiducia e saldava le amicizie ed è quanto mai importante non dimenticare quali siano stati gli antidoti a quella stagione anche per molti di noi adulti: lavorare insieme, farci coraggio e tenersi per
mano (anche se, in quei giorni, lo potevamo fare solo con il pensiero) dando valore alla speranza.
L’esperienza collettiva, sia durante l’infanzia che durante tutto il periodo cosiddetto “dello sviluppo”, ma estenderei a tutto l’arco della vita degli individui sicuro di non sbagliare,
è fondamentale per crescere, diventare autonomi, e affrontare gli inevitabili momenti di angoscia e disagio che la vita ci riserva, come è stato quello che trascorremmo tre anni fa e che è terminato non da molto.
Soprattutto è importante non dare per scontato ciò che abbiamo; l’abitudine ad avere la possibilità di socializzare spesso ci fa dimenticare quanto il comportamento prosociale sia importante e solo quando ce ne è mancata la possibilità abbiamo avuto contezza di quanto fosse necessario potersi vedere per farci forza in un
momento di difficoltà.
A distanza di tre anni quindi, quell’esperienza che torna alla memoria grazie ai social,
ci rinverdisce la lezione e ci ricorda l’irrinunciabile importanza di fare comunità, condividere
gli spazi e creare una collettività curante che tenda una mano ai più fragili rinforzando le qualità di tutti gli individui.
Filippo Franchi