Ieri si è celebrata la giornata mondiale del sordo e la cappella di Piazza del Campo è tornata ad illuminarsi di blu su richiesta dell’Ente Nazionale protezione e assistenza Sordi, per ricordare la necessità di riconoscere, promuovere e proteggere la lingua deli segni e garantire i diritti delle persone sorde. Per capire di più della realtà e della cultura dei sordi, abbiamo incontrato Martino De Leo, assistente alla comunicazione per le persone sorde.
Martino è un giovane di 34 anni, diplomato all’Istituto Sarrocchi e laureatosi in matematica all’Università di Pisa. Nel corso del percorso universitario, sensibilizzato al problema della comunicazione con i sordi, ha deciso di prendere parte ad un corso base che lo ha avvicinato alla LIS, la Lingua Italiana dei Segni.
Perché hai sentito il desiderio di partecipare ad un corso come questo?
“Premetto che la sordità è una condizione, una caratteristica, però invisibile. Mentre altri deficit si individuano a prima vista, la sordità non è così evidente, anche se 1 persona su seimila è sorda, a vari livelli. Io avevo amici sordi e ho colto l’opportunità che ci ha offerto l’Università di Pisa. Si trattava di partecipare ad un corso di base, ma mi avrebbe fornito i primi strumenti per comunicare con persone sorde.”
Un corso di LIS: immagino che non ci fossero molti altri studenti come te.
“In realtà non eravamo pochi. Io allora non pensavo che sarei diventato un mediatore tra i sordi e gli udenti. Dopo la laurea, infatti, ho iniziato un percorso come ricercatore, ma poi il gruppo di ricerca si è sfatto e io sono rientrato a Siena dove ho iniziato a collaborare con l’Istituto Pendola, nell’attività di doposcuola.”
E quello che sembrava un “interesse” figlio di una particolare sensibilità si è rivelato il tuo mondo.
“Sì, sono entrato nella cooperativa Elfo, di Firenze, che era nata prima che la figura di assistente alla comunicazione dei sordi fosse legalmente riconosciuta e che oggi partecipa ai bandi della Società della salute del Sistema Sanitario Nazionale.”
Ma il tuo ruolo è quello di educatore o di insegnante di sostegno?
“In realtà né l’uno né l’altro. Potrei dire che il mio ruolo è quello di “ponte” tra il sordo e gli udenti. Ogni anno io vengo incaricato di seguire ragazzi sordi, che possono essere segnanti o meno.”
Che significa che i sordi possono essere segnanti o meno?
“Ci sono persone che sono madrelingua LIS, cioè che comunicano attraverso la lingua dei segni. Ma ce ne sono altre che invece, pur sordi, hanno imparato a comunicare grazie ad un precoce e proficuo percorso di logopedia. Oggi, tra l’altro, ci sono strumenti importanti, che aiutano il sordo. Per esempio, ho incontrato ragazzi che “sentono” grazie ad uno strumento innestato sul nervo acustico: loro spesso non sono segnanti e con il tempo riescono a comunicare anche piuttosto bene tanto da avere anche discreti risultati a scuola. Ad ogni persona sorda, in ogni modo, può giovare tantissimo un precoce e proficuo percorso di logopedia per imparare a parlare con le persone udenti [non segnanti], motivo per cui oggi si usa il termine “sordo” e non più “sordomuto”. La tecnologia moderna offre degli ausilii che nella maggior parte dei casi aiutano molto: ci sono le protesi acustiche – dette anche ‘apparecchi’ – usate anche dalle persone che perdono l’udito in età avanzata, ma esistono anche gli ‘impianti cocleari’ che prevedono un innesto chirurgico e generalmente funzionano meglio se effettuati nei bambini.”
Non deve essere facile per i sordi frequentare la scuola.
“In realtà spesso i compagni di classi diventano più sensibili alla condizione di sordità di quanto non si pensi. Personalmente, mi piace osservare i comportamenti dei ragazzi che frequentano le lezioni insieme ad un mio “assistito”. All’inizio dell’anno di solito si osserva una certa difficoltà di relazione che però con il tempo si affievolisce per lasciare spazio ad una sensibilità diversa. Certo, è mio compito quello di far capire che per aiutare il compagno sordo è necessario parlare uno alla volta e che per essere meglio compresi bisogna far in modo che il sordo possa leggere anche il labiale.”
Possiamo dire che sta crescendo una sensibilizzazione riguardo a questo modo di essere?
“Direi di sì. So che in alcune scuole si organizzano corsi LIS per tutti gli studenti di ogni classe, anche laddove non ci sono studenti sordi. In questo modo può passare l’idea che il sordo non è un diversamente abile, ma una persona con una condizione diversa da quella degli altri. Mi è capitato di incontrare persone che sono orgogliose della loro condizione. A Siena c’è una famiglia di sordi: i nonni si sono incontrati all’Istituto Pendola, quando ancora non esisteva la possibilità per loro di frequentare la scuola, si sono innamorati e sposati; hanno avuto figli e nipoti e tutti sono orgogliosamente sordi.”
Martino, in questo tuo lavoro, hai avuto modo di incontrare tanti ragazzi. Finita la scuola proseguono per la loro strada; ti è capitato di restare in contatto con qualcuno di loro?
“Poiché si cerca di rispettare una continuità e siccome non siamo nominati, come gli insegnanti di sostegno dal ministero, succede di iniziare il percorso con bambini della primaria e portarli fino al diploma di secondaria di secondo grado. Il rapporto quindi si intensifica con il passare del tempo. Nonostante ciò, normalmente, una volta conseguito il diploma, ognuno procede per la propria strada. Mi è capitato, però, di seguire qualcuno di loro anche finita la scuola: è il caso di due studentesse dell’artistico che ho seguito quando hanno preso la patente, nella ricerca di un lavoro e, per quanto concerne una in particolare, in un corso post-diploma.”
A Siena gli assistenti alla comunicazione per le persone sorde sono una trentina; Martino De Leo è uno di loro e la spontaneità con cui racconta il suo “servizio” è disarmante: fa apparire questo lavoro e la sua sensibilità come semplicemente normali.
Tale non è anche a se, in realtà, l’inserimento di sordi in classi di udenti aiuta i secondi a comunicare e a condividere tempo scuola con i primi, in una quotidiana comprensione che fino a poco tempo fa non era scontata.
Marina Berti